venerdì 29 maggio 2009

S. Critchley, Responsabilità illimitata, ed. Meltemi, 2008.

Critchley è un autore ancora quasi del tutto sconosciuto in Italia ed è merito dell’editore Meltemi l’aver scommesso su questo saggio, pubblicato nella collana “Melusine”, rilegato a filo, dalla grafica brillante. Al di là dei contenuti che offre (descritti brevemente di seguito), suo impagabile pregio è la chiarezza, caratteristica che colpisce fin dall’inizio: in una introduzione di 14 pagine l’autore riassume il progetto cui il libro è dedicato, in una sequenza di argomenti semplici, perfettamente concatenati, corredati da schemi grafici. Un modo di scrivere da manuale, che riporta alla mente il detto spagnolo: “la chiarezza è la cortesia del filosofo”.
Ovviamente, non è tutto qui. Questo saggio offre un’analisi del tempo nel quale viviamo (e dei problemi che esso ci pone) e un invito a reagire in maniera inedita, non conforme, che non ricalchi
morali tradizionali ormai svilite e non ceda d’altro canto alla moderna tentazione del nichilismo. Il punto di partenza è la delusione: «la filosofia non comincia con un’esperienza di meraviglia, come sostiene la tradizione antica, ma piuttosto, io credo, con una sensazione indeterminata ma tangibile che qualcosa di desiderato non è stato raggiunto, che uno sforzo immaginativo è fallito. La filosofia comincia con la delusione» (p. 7). Delusione che, in generale, riguarda l’inevitabile presa di consapevolezza da parte dell’uomo dei suoi limiti propri (che Critchley fa risalire alla “rivoluzione copernicana” operata da Kant), ed il suo rifiuto di tali limiti (visibile oggi nei tanti “miti prometeici di superamento della condizione umana”: chirurgia estetica, ingegneria genetica, ecc.).
L’autore concentra però il suo studio su due specifiche forme di delusione: quella religiosa (causata dalla perdita di credibilità di certe strutture teologiche tradizionali) e quella politica (generata da “democrazie” che governano sulla base della paura del “diverso” – si pensi alla politica della guerra al terrorismo e ai rigurgiti xenofobi che vanno aumentando in Occidente – e alimentano un sistema la cui regola è l’ingiustizia e un mondo in cui “il sangue viene spillato come champagne”, per dirla con Dostoevskij, citato nell’introduzione). Esiste la possibilità – secondo Critchley – di fronteggiare questa dura realtà senza lasciarsi ingoiare dalla spirale del nichilismo (né di quello passivo, depresso e rinunciatario, né di quello attivo, becero e distruttore). Questa possibilità risiede in un certo tipo di etica (che è proprio l’ingiustizia a richiedere), la quale sfocia in un’azione politica.
Critchley inizia con l’analisi dell’etica kantiana, mantenendone fermi i due principi: 1) l’etica dev’essere autonoma, nel senso che il soggetto deve imporla a se stesso, senza che nessun altro agente intervenga ad imporre nulla dall’esterno; 2) il soggetto etico deve essere libero, cioè deve sempre poter scegliere se aderire o meno ad una massima ritenuta giusta. Oltretutto, l’etica dev’essere universale. Ma Critchley cerca di andare oltre Kant; egli ritiene che l’etica vada fondata a partire dalla costituzione di un soggetto etico: costituzione che avviene in seguito (e intorno) all’approvazione di una certa richiesta che il soggetto in questione percepisce come “etica” e intorno ad essa (Critchley fa l’esempio di Bob Geldof, rockstar inglese che, di fronte allo spettacolo televisivo della miseria in Etiopia decise d’un tratto – diversamente da quanto aveva fatto fino ad allora – di fare qualcosa, da cui nacque l’iniziativa del Live Aid). In mancanza di riferimenti universalmente validi (la nostra è l’epoca del nichilismo), Critchley non vede altra universalità possibile se non quella situata di Badiou (p. 54), per la quale una qualunque azione etica, nata localmente in una determinata occasione, può avere risvolti universali (una agitazione sindacale per la rivendicazione di certi diritti dei lavoratori può avere valore di rivendicazione di quei diritti in generale, non più solo per quelle persone, quel luogo, quel tempo). Oltretutto, Critchley vede nella richiesta “infinita” (concetto che mutua dal teologo danese Løgstrup) la richiesta etica per eccellenza, capace di generare la “responsabilità illimitata” nei confronti delle cose, che dà il titolo al volume: la richiesta infinita è quella che vincola con la sua paradossalità, che coinvolge per la sua aperta impossibilità (qui l’autore porta l’esempio dell’invito di Gesù ad essere perfetti come Dio). Vòlta ad un sempre rinnovato e fatale fallimento che ha il fascino dell’espressione di Beckett: “tentare di nuovo. Fallire di nuovo. Fallire meglio” (citato a p. 67).
Il discorso di Critchley va avanti, attraverso l’analisi di Lévinas, Lacan, Freud, Marx, Schmitt e tanti altri autori, verso la definizione di quest’etica dell’impegno, dai risvolti politici. Discorso innegabilmente affascinante, a cavallo tra la psicanalisi, la filosofia occidentale e le religiosità cristiana ed ebraica; criticabile come lo è ogni etica che si voglia universale (anche se situata), cioè nella misura in cui la nostra epoca, che è l’epoca dell’interculturalità, mostra che la via migliore verso la pace non è l’individuazione di un pensiero unico (foss’anche il migliore) da imporre poi a tutti, ma il dialogo tra polarità anche reciprocamente incompatibili ma armonizzabili. Ancora da un punto di vista critico, si potrebbe sottolineare che, se è vero che il soggetto non può essere costretto all’azione morale da una legge o da un’autorità (condizione che negherebbe il postulato di libertà prima enunciato), è vero altresì che detto soggetto può essere incentivato non solo al compimento di tale azione morale ma addirittura all’interiorizzazione della norma: ad esempio, noi non ci mangiamo gli uni gli altri non perché esista una legge che lo vieti, bensì perché il cannibalismo – ormai estraneo alla nostra mentalità consolidata – ci ripugna. È qui dunque, nell’abbandono della pretesa universalistica e nell’intento di diffondere una mentalità della pace, che l’umanità può sperare la vita, anziché la distruzione.

(«Giornale di filosofia.net», ISSN 1827-5834, maggio 2009)

Paolo Calabrò

Filosofia e Noir

Madrelingua napoletano, vive a Caserta, dedicandosi alla famiglia, alla filosofia e, ovviamente, al noir. Gestisce il sito ufficiale di Maurice Bellet in italiano