lunedì 1 giugno 2009

War!

Avrei dovuto insospettirmi tanto tempo fa, ma – un po’ mi vergogno a dirlo – solo oggi ne prendo consapevolezza in maniera chiara e distinta: ebbene sì, quella all’invecchiamento è una vera e propria guerra, che le donne conducono da generazioni (ma sono sempre di più gli uomini che ricorrono a chirurgia estetica, massaggi, cosmetici in genere, come testimoniato dal fiorire di svariate testate maschili dedicate alla cura del corpo). Potrebbe sembrare una notizia cattiva (a nessuno fa piacere sentir parlare di un’altra guerra, tanto più se si ritrova a dover prenderne parte); quella buona è però che le donne non sono sole: perché l’industria cosmetica è con loro.
Non mi dite che non ve ne eravate accorti neanche voi. Basta sfogliare un insospettabile inserto settimanale del sabato, per constatare che la dimensione dello scontro si delinea fin da subito: ecco brillare una crema “anti-rughe”, una protezione “anti-aggressioni”, un trattamento “anti-età” o – per quelle un po’ più ricercate – una tecnologia “anti-age”. Ma non è che l’inizio: perché, dalle retrovie, sta per arrivare di gran carriera un’”arma efficace”, un nuovo prodotto gravido del “potere delle piante”, dotato di un eccezionale “potere lisciante” (giuro che non sto inventando niente), in grado di “potenziare la naturale brillantezza dei capelli”.

La guerra alla povertà è finita e i poveri l’hanno persa. Abbiamo molto da imparare dal linguaggio della pubblicità e della politica

E, ove non bastasse ancora, si può ancora ricorrere ai cosmetici “amici per la pelle”, a un “alleato del capello secco” o a quello grazie al quale “la pelle si rinforza contro gli agenti ambientali”. Perché “i capelli secchi hanno bisogno di più attenzioni” e “vanno protetti”; ecco che a questo punto scende in campo un “termoprotettore”, in grado di “proteggere la fibra”. Ma poiché, si sa, la zizzania cresce insieme al grano, c’è bisogno di combattere contro i “capelli ribelli”, che andranno “disciplinati” o perfino “catturati”. Ci sono quelli che usano la “forza per vincere le impurità”, quelli che si “mimetizzano”. La questione è tutta nel conoscere le “parole d’ordine per tenere sotto controllo la cellulite”.
Confesso di sentirmi estenuato da tanto sforzo. Ma confesso anche che, in realtà, ho scritto finora in tono semiserio con l’intenzione di dire una cosa che invece è seria del tutto: che cioè la nostra cultura occidentale è intrisa di guerra, di scontro, di sopraffazione, a partire dal linguaggio che adoperiamo. Tanto che, spesso, non ci accorgiamo della carica di violenza che mettiamo nelle cose dette o nei nostri atteggiamenti. Perfino quando dialoghiamo con gli altri cerchiamo di con-vincerli. Perfino di fronte alla pietà che ispira il volto sofferente dell’altro che muore di fame, non riusciamo a trovare uno slogan più adeguato di quello della “guerra alla povertà” (che ha ispirato poi, visti i risultati, l’amara boutade: “la guerra alla povertà è finalmente finita. I poveri l’hanno persa”).
La pubblicità, che conosce bene l’animo umano, soprattutto sotto il profilo inconscio, fa appello all’istinto primordiale del bisogno di protezione (e al suo corollario che recita: “la miglior difesa è l’attacco”). Abbiamo molto da imparare dalla pubblicità (e anche dalla politica, che spesso sfrutta gli stessi meccanismi: dal bisogno di protezione all’ossessione della sicurezza; dalla lotta al crimine alla sua prevenzione – cioè alla xenofobia). Del resto, non c’è bisogno di una preparazione specifica per apprendere a leggere tra le righe degli spot, per coglierne le allusioni e le deviazioni che suggeriscono. Basta farci un po’ d’attenzione. Basta armarsi di buona volontà.

(«Il Caffè», 29 maggio 2009)

Paolo Calabrò

Filosofia e Noir

Madrelingua napoletano, vive a Caserta, dedicandosi alla famiglia, alla filosofia e, ovviamente, al noir. Gestisce il sito ufficiale di Maurice Bellet in italiano