lunedì 20 luglio 2009

Z. Bauman-G. Battiston, Modernità e globalizzazione, ed. Dell'Asino, 2009

Modernità e globalizzazione raccoglie quattro interviste (alcune delle quali già parzialmente pubblicate in Italia) concesse da Zygmunt Bauman a Giuliano Battiston negli ultimi due anni, per lo più intorno all’aspetto politico del pensiero del sociologo: dal rapporto tra individuo e società alla questione dello Stato sociale, dalla valenza e dai rischi dell’“esperimento Europa unita” all’elezione del presidente americano Obama. Battiston – tramite domande mai banali e sempre ben aderenti all’opera di Bauman, che cita con abbondanza e all’interno della quale si muove con grande scioltezza – sollecita il professore di Leeds a delle riflessioni circostanziate e inedite, che a volte oltrepassano per approfondimento i limiti tipici dell’intervista.
Bauman comincia (pp. 13-15) con lo spiegare perché il termine che a suo avviso meglio si attaglia al nostro tempo è “modernità liquida” piuttosto che, ad esempio, “postmodernità”, “seconda modernità” (Beck) o “tarda modernità” (Giddens): “postmodernità” è un termine meramente negativo (“ciò che viene dopo la modernità”), che in nessun modo si lega alle peculiarità di quest’epoca; oltretutto suggerisce l’idea che la modernità sia terminata (punto sul quale Bauman non è affatto d’accordo). Alle stesse critiche presta il fianco “seconda modernità”, mentre “tarda modernità” suscita la domanda: “come facciamo a sapere che sia tarda?” (ciò potrebbe infatti essere affermato solo a partire da un’ampia conoscenza retrospettiva di ciò che è avvenuto in seguito). L’unica espressione che pare in grado di rendere conto della tipicità della nostra epoca è appunto “modernità liquida”, la quale fonde tradizioni, vincoli, strutture, istituzioni, norme, saperi, senza – come avveniva nella fase precedente della modernità – sostituire ciò che è stato fuso con qualcos’altro che ne prenda il posto. Tutto permane in uno stato fluido. (Per inciso, ancora nel 1999 Bauman utilizzava il termine “postmodernità”; cfr. ad esempio Z. BAUMAN, La società dell’incertezza, il Mulino, p. 59: «definisco “postmoderna” l’epoca che stiamo vivendo ora». Solo nel 2000, con la pubblicazione del “bestseller sociologico” Liquid Modernity – tradotto in italiano da Laterza con il titolo Modernità liquida, Bauman rinuncia definitivamente all’utilizzo di “postmodernità” in favore di “modernità liquida”).
Riprendendo l’analisi del Panopticon di Jeremy Bentham approfondita nel precedente La libertà (già recensito per «Filosofia.it», marzo 2009), Bauman illustra come il passaggio della modernità alla fase liquida abbia condotto con sé il rovesciamento di uno dei maggiori incubi del secolo scorso: l’orwelliano Grande Fratello, che con la sua onnipresenza poteva tenere gli individui confinati e soggiogati all’interno del sistema, si è evoluto oggi in una versione “2”, che continua a servirsi degli stessi strumenti (dalle telecamere alla propaganda), ma il cui scopo è ribaltato, non essendo più quello di mantenere tutti al suo interno, bensì quello di tener fuori gli “sbagliati”, gli esclusi (poveri, zingari, disoccupati, barboni, sans papiers, ecc.). Non è dunque cambiata la forma del dominio; si è solo passati dall’inclusione all’esclusione (tema approfondito in Z. Bauman, Fiducia e paura nella città, già recensito per «Filosofia.it», luglio 2009). Esclusione che contraddice apertamente la promessa di felicità per tutti e per ciascuno che il capitalismo ha sempre ostentato come vessillo e come summa di ogni sua intenzione; per questo, si rende necessaria una propaganda che possa spacciare l’esclusione come una legge naturale, ineluttabile, indipendente dall’uomo e dalla sua economia. Di questa propaganda si fa carico, in particolare, un altro Grande Fratello, stavolta televisivo: si tratta del reality «in cui capita che uno dei protagonisti, soltanto uno, ogni settimana deve essere escluso dal gruppo (buttato fuori con il voto), e in cui la sola cosa che rimane incerta e sconosciuta è chi sarà la persona a cui toccherà, questa o la settimana successiva. L’esclusione è nella natura delle cose, è un elemento inseparabile dell’essere nel mondo, è, per modo di dire, una legge di natura, per questo non ha senso ribellarsi ad essa. La sola questione su cui valga la pena ragionare, e anche intensamente, è come evitare la prospettiva che sia io l’escluso del prossimo giro di eliminazioni» (p. 124). Ci si abitua all’esclusione, all’emarginazione, alla separazione, al conflitto, alla paura. L’insensibilità diventa la regola razionale del vivere; l’incertezza il suo principio fondatore.
Bauman, che aveva rappresentato la condizione dell’uomo della modernità come quella d’un pellegrino, dotato d’un proprio progetto di vita (Sartre) da perseguire passo dopo passo, spiega che le cose sono profondamente cambiate e che tale immagine non è più adeguata (si vorrà perdonare qui la lunga – ma esaustiva – citazione che segue): «ho usato la metafora del pellegrino, colui che conoscendo la mappa esatta della strada che conduce al luogo sacro si limita a calcolare le risorse che gli occorrono, la forza e il numero di scarpe necessarie per coprire la distanza che lo separa da quel luogo. Tutti questi esempi sono accomunati dal tacito assunto secondo il quale l’unico elemento che può cambiare nella vita di un uomo e nel mondo nel quale egli vive sia il comportamento personale, mentre tutto il resto è dotato di una granitica stabilità. Oggi, però tutto questo è finito. Non ci è più concesso basare le nostre credenze e le nostre azioni su un presupposto del genere, poiché le condizioni della nostra vita cambiano in continuazione, determinando quella che ho definito come una modernità liquida. Modernità liquida significa che gli elementi di ogni nuova situazione appaiono dal nulla, e che quando appaiono già sappiamo che non potranno durare a lungo, perché saranno ancora una volta sostituiti. Si tratta, come abbiamo visto, di un processo di modernizzazione compulsiva e ossessiva: ogni cosa viene continuamente modernizzata, e ciò che oggi è modernizzato domani sarà di nuovo rimodernizzato, e ancora il giorno successivo» (p. 97). Le immagini divenute adatte all’uomo contemporaneo sono quelle del vagabondo, che erra senza meta a caccia di ignote e spesso improbabili opportunità, e quella del giocatore d’azzardo, sempre in cerca del colpo di fortuna che potrà cambiargli la vita. Si noti che il giocatore d’azzardo non è uno yankee gaudente e spensierato, ma un disperato, che non ha altre risorse – non potendo più sperare che il proprio futuro gli verrà assicurato dai suoi meriti, dai suoi studi, dal suo impegno – che confidare in un fato cieco. L’Occidente del progresso, della tecnologia e della crescita illimitata ha chiuso le porte alla speranza. E chi chiude le porte alla speranza non fa che aprirle al fatalismo.

(«Filosofia.it», luglio 2009)

Paolo Calabrò

Filosofia e Noir

Madrelingua napoletano, vive a Caserta, dedicandosi alla famiglia, alla filosofia e, ovviamente, al noir. Gestisce il sito ufficiale di Maurice Bellet in italiano