giovedì 17 settembre 2009

Disobbedienza civile

Mi è tornata alla mente, in questi giorni, una discussione che ebbi con degli amici una sera a cena. Quando mi offrirono della Coca-Cola rifiutai, rispondendo: grazie, non ne bevo. Ma, poiché tutti bevono Coca-Cola, la mia reazione suscitò subito la curiosità dei convitati, ai quali spiegai che non ne bevevo (e non ne bevo) perché quel marchio è uno dei più boicottati in quanto utilizza lavoro svolto in condizioni disumane in più parti del mondo, tristemente noto per il suo comportamento antisindacale (con tanto di morti ammazzati, ad esempio in Colombia). Insomma, non per motivi di gusto né di salute, bensì soltanto per motivi – per così dire – morali. Gli stessi motivi per cui non acquisto Nike, né Shell-Esso-Tamoil-Total, né Nestlé, Danone, Del Monte, Chiquita... Purtroppo si potrebbe
continuare a lungo. Ero già pronto a sentirmi ribattere nel solito modo: “cosa pensi di ottenere con la tua azione isolata? Il tuo gesto è inutile”.

Un uomo non deve fare tutto, ma qualcosa: e dato che non può fare tutto, non per questo è necessario che debba far qualcosa di sbagliato.
H. D. THOREAU, Disobbedienza civile, ed. PianoB

È una cosa che mi sono sentito dire spesso. E infatti, immancabilmente, avvenne anche quella volta. Non mi ricordo cosa risposi. Mi ricordo solo la sensazione, qualcosa di inespresso che avrei voluto dire, senza riuscirci, al di là di tutte le parole, le argomentazioni, i ragionamenti, ma che continuai a custodire, involontariamente, fra me e me.
La causa che ha scatenato il ricordo è stata la lettura di H. D. Thoreau, Disobbedienza civile, recentemente edito da PianoB. In questo libro, dopo tanto tempo, ho trovato la sintesi di ciò che mi sarebbe piaciuto dire quella volta. Eccolo, nelle spiazzanti parole dello scrittore americano: 
l’azione che scaturisce da un principio – la percezione e l’attuazione del giusto – muta radicalmente le cose e i rapporti, è essenzialmente rivoluzionaria, non conciliandosi con niente di ciò che già esisteva. Non divide solo Stati e Chiese, divide anche le famiglie. Sì, divide l’individuo, separando in lui il diabolico dal divino (p. 34).
Ecco, dunque: io non bevo Coca-Cola non solo perché mi ripugna (pur essendo tutt’altro che immune dal fascino della seducente bevanda), per il pensiero cioè di star abbeverandomi a una fonte i cui dirigenti sono accusati nientemeno che di assassinio, ma anche perché ritengo che un atto morale, personale, circoscritto, sia non di meno e per ciò stesso un atto politico. Non credo di poter risolvere con una mia singola azione i problemi dell’umanità, ma credo nel valore della testimonianza, e vorrei cercare di essere, come si dice, “quel cambiamento che mi piacerebbe vedere nel mondo”. Pur non nutrendo ambizioni messaniche, non di meno sono qui, dove ho invitato i miei figli e resterò fino alla fine. Tanto vale, dunque, che ci rimanga nel migliore dei modi: 
ciò da cui devo guardarmi, comunque, è di non prestarmi al male che io stesso condanno. [...] Non sono venuto a questo mondo soltanto per farne un buon posto nel quale vivere, ma per viverci, buono o cattivo che sia. Un uomo non deve fare tutto, ma qualcosa: e dato che non può fare tutto, non per questo è necessario che debba far qualcosa di sbagliato» (p. 36).
Magari un certo gesto individuale è davvero inutile. Tuttavia, fra un inutile gesto bello e un inutile gesto brutto, continuerò sempre a preferire il primo.

(«Il Caffè», 18 settembre 2009)

Paolo Calabrò

Filosofia e Noir

Madrelingua napoletano, vive a Caserta, dedicandosi alla famiglia, alla filosofia e, ovviamente, al noir. Gestisce il sito ufficiale di Maurice Bellet in italiano