mercoledì 28 ottobre 2009

A. Olivetti, I pilastri della democrazia, Marsilio, 2009

Perché riparlare del pensiero politico di Adriano Olivetti? Perché proporre una rilettura de L’Ordine politico delle Comunità?
si chiede, in apertura del libro Costruire le istituzioni della democrazia (ed. Marsilio, 2009) l’autore Sergio Ristuccia. La risposta – a fine lettura essa appare tanto scontata quanto disattesa – è che la lezione di Olivetti, a più di sessant’anni dalla pubblicazione della sua opera politica più importante, è non solo attuale, ma per molti versi addirittura innovativa. Vediamone alcuni.
In primo luogo, il “federalismo integrale”, ovvero l’idea della complementarità fra democrazia e federalismo: poiché in democrazia la scala dei livelli di governo, cioè dei procedimenti propri delle decisioni collettive, parte dal basso (ovvero dall’organizzazione della popolazione sul territorio), ne consegue che il nucleo della democrazia sono le comunità insediate sul territorio. Esse fondano lo Stato, e non viceversa: non si può fondare alcuna entità globale che non sia radicata nel locale.
In secondo luogo, è vero che l’economia trova nel mercato le sue regole fondamentali, che la libertà di iniziativa economica è motore di progresso sociale e che la competizione garantisce successo alle iniziative migliori e più creative ed è al contempo garanzia degli interessi dei consumatori. Tuttavia l’economia non è soltanto concorrenza e ricerca dei massimi profitti: la società ha bisogno di un sistema economico più complesso che comprende ampie aree di economia cooperativa, di imprese sociali e di organizzazioni non profit. L’impresa va incentivata nella prospettiva di un bene comune più grande, di un progetto sociale, dove il benessere privato e quello pubblico si integrino armoniosamente (senza lo stridore tipico, ad esempio, della responsabilità sociale d’impresa).
In terzo luogo, il libero voto popolare è il pilastro fondamentale della democrazia, ma non tutto può corrispondere al suffragio universale né ai sondaggi continui. Il dibattito politico e delle idee deve essere favorito e alimentato al massimo sulla base di informazioni ricche, precise e prive di compiacenza; la libertà dei mass media e la qualità degli addetti ai lavori sono dunque questioni centrali per il buon funzionamento della democrazia. In un momento come quello presente, nel quale l’Italia scivola verso il basso nella classifica dei Paesi dalla stampa libera, questo monito sembra di una particolare pregnanza.
Il vero muro da abbattere – commenta Ristuccia in chiusura del suo saggio rigoroso e sistematico – è la resistenza ad ogni reale creatività nel pensare e costruire le istituzioni della democrazia.
La lezione più grande di Olivetti è quella della creatività, che egli ha saputo portare nell’ambito aziendale come in quello intellettuale. Per aspirare a una riforma della democrazia che la metta al passo coi nostri tempi, dobbiamo superare quella sorta di timore reverenziale che ci àncora tutt’oggi ai valori della Rivoluzione francese e alle istituzioni che li hanno rappresentati. Dobbiamo prendere atto, con Francois Furet (citato a p. 443) che la Rivoluzione, infine, è terminata. La democrazia è un’acquisizione da tenere stretta, certamente, ma non tanto da impedirne l’evoluzione. Essa è ben lontana dall’aver esaurito tutte le sue potenzialità; perciò, dobbiamo superare ogni incredulità sulle possibilità di migliorare la democrazia tradizionale. Come diceva Rovan (anch’egli citato dall’autore), la democrazia è ancora un’idea nuova.

(«il Recensore.com», 28 ottobre 2009)

Paolo Calabrò

Filosofia e Noir

Madrelingua napoletano, vive a Caserta, dedicandosi alla famiglia, alla filosofia e, ovviamente, al noir. Gestisce il sito ufficiale di Maurice Bellet in italiano