sabato 10 ottobre 2009

P. Donati, La società dell'umano, ed. Marietti, 2009

Davvero la società umana è qualcosa che non ci appartiene più in quanto società? Perché mai, allora, l’uomo continua a combattere per essa?.
Se lo domanda Pierpaolo Donati in La società dell’umano (Marietti, 2009) di fronte alla crescente dis-umanizzazione delle società contemporanee. Cresce il disorientamento, avanza l’esclusione, aumentano le disuguaglianze e i fattori di rischio, diminuiscono le garanzie personali e collettive.
E, ciò che è paradossale, tutti questi fenomeni non sono il frutto di
arretratezza o di sopravvivenza di condizioni sottosviluppate, ma degli stessi processi di modernizzazione. È nei contesti maggiormente sviluppati che più si lamenta una crescente “perdita di umanità” nelle relazioni interpersonali e generalizzate.
Fino a qualche tempo fa, una “società”, semplicemente in quanto tale, poteva già
essere detta “umana” (ancorché non perfetta). Gli uomini potevano vivere al suo interno avendo una precisa consapevolezza dei punti di riferimento, dei meccanismi economici e relazionali. Oggi sembra assistere a una disgregazione delle società moderne dall’interno, come in seguito a un’esplosione nella quale ogni singola particella, da un momento all’altro, prende la sua strada centrifuga, la sua deriva solitaria. Donati pone un punto fermo: è assodato che l’umano non coincida con il sociale, si tratta di due entità distinte. È altrettanto chiaro però che si tratta al contempo di due entità non separabili: l’umano e il sociale sono come le due facce d’una medaglia.
Bisogna rifuggire dunque da due errori: confondere l’umano con il sociale, sovrapponendoli fino ad annullare ogni distanza critica; separare l’umano dal sociale, ignorando che non è neanche pensabile l’esistenza dell’uno senza l’altro: la presupposizione più generale che fa da sfondo all’approccio qui adottato assume
che l’umano comporti una modalità relazionale di essere, e in ciò implichi il sociale. [...] La sociologia può comprendere l’umano che è nel sociale solo se vede il sociale che è nell’umano.
Che l’umano dunque non coincida con il sociale, per l’autore, è qualcosa di acquisito; andando oltre, si pone la domanda: cosa succede se l’umano – a causa delle spinte individualistiche, delle crisi economiche e ambientali, dallo smarrimento della memoria e dal senso di appartenenza al tutto – si dissocia dal sociale al punto da sparire completamente da esso? È questa una possibilità? Cosa ne sarebbe dell’umanità se si arrivasse a quella “fine della cultura” teorizzata da tanta sociologia contemporanea?
Il professore spiega che la separazione netta fra umano e sociale non è sostenibile oltre certe soglie e che bisogna uscire dalle nostre attuali società dell’umano (cioè realizzare da uomini, ma in cui gli uomini faticano a trovare spazi immediatamente adatti al loro star bene, ben-essere) per entrare finalmente in delle società umane, fatte cioè a misura d’uomo, delle sue esigenze, delle sue aspirazioni:
la proposta di questo volume è quella di distinguere fra “società umana” e “società dell’umano”. La società umana è la realtà (forma) sociale pensata e fatta da uomini come agenti delle relazioni sociali, intersoggettive e strutturali, immediatamente dotate di un significato umano (p. 129).
L’editore Marietti offre un libro corposo la cui lettura richiede attenzione (ma che la merita tutta), scritto in un linguaggio accessibile a tutti – anche se ricco di riferimenti puntuali e ampio nella ricostruzione storico-sociologica – dal fondatore della “sociologia relazionale”.

(«il Recensore.com», 10 ottobre 2009)

Paolo Calabrò

Filosofia e Noir

Madrelingua napoletano, vive a Caserta, dedicandosi alla famiglia, alla filosofia e, ovviamente, al noir. Gestisce il sito ufficiale di Maurice Bellet in italiano