lunedì 19 ottobre 2009

Tra la fede e la critica 12-13 settembre 2009

(con Mimma Peluso)

Di fronte a un pubblico di oltre 500 persone si è svolto il XXIII Convegno nazionale di studi dell’Altrapagina, il 12 e 13 settembre scorsi, nel Teatro degli Illuminati di Città di Castello (PG). Il tema di quest’anno è stato la “fede critica”: fede come critica di una realtà cristiana che lo è sempre più nelle chiacchiere e sempre meno nei fatti; critica come attributo di una fede che non si limita a celebrare se stessa rinchiusa nell’autoreferenzialità e nella coerenza interna dei testi teologici e magisteriali, ma si apre al mondo moderno e alle sue peculiarità storiche, concrete, attuali.
Maurice Bellet, il filosofo e teologo francese che ha aperto il convegno, lo sottolinea fin dall’inizio: la fede è critica solo se accetta le istanze dell’umanità di oggi e si propone come compagna di viaggio per un uomo che ha bisogno di una “Via” verso la verità, che sa di non aver trovato ancora. La metafora del “cammino” non è tuttavia esclusiva del discorso
di Bellet; le relazioni di tutti gli oratori ne sono permeate, tanto che essa diventa a sua volta, quasi senza volerlo, il simbolo delle fede critica: qualcosa in itinere, diretto verso (e non ancora giunto a) la “verità tutta intera” (Gv 16,13). Così conclude Bellet:
la verità non si installa. Essa cammina con l’uomo.
Vito Mancuso, teologo e docente di teologia presso l’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano, noto al grande pubblico in particolare per il suo recentissimo Disputa su Dio e dintorni scritto a quattro mani con Corrado Augias, riprende l’immagine del movimento senza mezzi termini:
tutta la vita è movimento: questo vale per l’uomo come per gli animali, i vegetali e tutto ciò che è vivo. Il movimento è la caratteristica esenziale della vita: quello che si ferma, muore.
Una fede che sia per l’uomo non può non essere dunque in cammino insieme all’uomo: che è oggi uomo di scienza, di ragione, insomma, uomo intenzionato ad uscire dallo “stato di minorità imputabile a se stesso” che Mancuso richiama citando Kant. “Bisogna diventare come i bambini” dice il Vangelo; cioè, commenta il professore, bisogna fare domande, avere il coraggio di affrontare le risposte e le loro conseguenze senza poterle prevedere, bisogna accettare di non avere già tutte le soluzioni ai propri problemi, bisogna accettare di non essere autosufficienti e - soprattutto - bisogna accettare il fatto che la verità può essere “cercata” e “ascoltata”, ma mai “prodotta”.
Argomento caro anche a Lilia Sebastiani, teologa ternana, che mette in evidenza proprio l’importanza di una siffatta fede adulta; a chi ostenta una fede ingenua, libera dalle istanze e dai problemi della critica, Sebastiani ribatte che “fede da bambini” non significa infantile, cioè da infante: il bambino è appunto quello che vuole crescere, che si pone i problemi (senza far finta - ignorandoli - che non esistano) perché vuole risolverli.
Ci si scontra qui con la grande questione dell’autorità: bisogna rispettarne scrupolosamente (e acriticamente) le conclusioni e gli indirizzi, o bisogna avere il coraggio di arrischiarsi a proprie spese nel mare dell’incertezza, alla ricerca della verità? Per Mancuso non c’è dubbio: “sapere aude”, commenta ancora con Kant; non si può evitare il rischio, perché è il Vangelo stesso ad esigerlo: alle opinioni che i discepoli gli riportano sul proprio conto, Gesù domanda: “e voi, chi dite che io sia?” (Lc 9,20). Il teologo (citando ancora Lc 12,57) fa osservare che Gesù non esita a definire ipocriti quelli che si affidano al giudizio altrui rifuggendo da una valutazione personale (e dalla responsabilità che ne consegue). In sorprendente consonanza con lo spirito di questo tempo, che rifiuta il principio di autorità e desidera porre a proprio modo le domande fondamentali.
Il nostro tempo è a sua volta al centro dell’intervento di Roberto Mancini, docente di filosofia all’Università di Macerata. Il professore è incredulo (per non dire scandalizzato) di fronte a una gerarchia ecclesiastica che afferma - proprio nel bel mezzo del respingimento in mare di migranti africani e dell’emanazione di leggi che introducono il reato di clandestinità - che “i rapporti con il governo sono sereni”. Mancini vede la ragion di Stato (Vaticano) prevalere sullo spirito evangelico, il quale imporrebbe una presa di posizione netta e una testimonianza più fervente (neanche un mese prima Massimo Cacciari aveva affermato - a proposito dei leghisti autocandidatisi, in seguito all’affaire Boffo, ad “interlocutori privilegiati con il mondo cristiano” - che spesso la Chiesa cattolica sceglie per motivi tattici gli alleati che meno sarebbero adatti da un punto di vista morale). Mancini parla anche del cosiddetto “problema del fine-vita”, osservando che - se la vita è davvero un dono, come sostengono i detrattori della libertà di scelta sui tempi e sui modi della propria morte - allora il donatario è completamente padrone di disporne a piacimento. “Altrimenti”, conclude, “la vita non è un dono, ma un prestito”. Parole che suscitano l’applauso fervoroso del pubblico, certamente perché è stato centrato il punto nodale di un argomento che preme a tutti, ma anche e forse soprattutto perché sembra di riuscire finalmente a scorgere qualcosa che si cela al di là delle motivazioni ideologiche, delle costruzioni teologiche, delle prescrizioni morali: ci si trova d’un tratto davanti alla situazione concreta di una persona sofferente, si riesce ad immaginarsi al suo posto e a pensare: “ha bisogno di essere amata allo stesso modo in cui vorrei essere amato io, al suo posto”. Ecco la “legge della legge”, per dirla con Bellet, la legge che è al di sopra di ogni altra legge e ne costituisce il fondamento di legittimità: la legge è per il bene dell’uomo, altrimenti è pervertita alla sua stessa radice. Perché “il sabato è per l’uomo, non l’uomo per il sabato” (Mc 2,27).
Di questi due giorni rimangono certo le sollecitazioni ricevute dagli oratori (che andranno decantate nei prossimi dodici mesi, in attesa del XXIV Convegno). Ma anche le ore intere di domande, appassionate ed incalzanti, rivolte da un pubblico assetato di risposte all’altezza del nostro tempo, così come i pasti equosolidali organizzati dalla locale Bottega del commercio, in un clima comune di festa e di riflessione. Insomma, ancora una volta il convegno dell’Altrapagina è stato ben più che un mero susseguirsi di lezioni magistrali tenute da oratori di prestigio; è stato invece un’esperienza corale di studio, di ascolto e di speranza. Un’esperienza di fede.

(«l'Altrapagina», ottobre 2009)

Paolo Calabrò

Filosofia e Noir

Madrelingua napoletano, vive a Caserta, dedicandosi alla famiglia, alla filosofia e, ovviamente, al noir. Gestisce il sito ufficiale di Maurice Bellet in italiano