mercoledì 25 novembre 2009

G. Fofi, La vocazione minoritaria, ed. Laterza, 2009

Dalla parte degli oppressi, sempre: così Goffredo Fofi si racconta nel suo ultimo libro, La vocazione minoritaria, lunga intervista a cura di Oreste Pivetta (ed. Laterza, 2009), in cui avanza la proposta
di una visione morale dell’agire sociale e politico, che stia dalla parte dei deboli e delle persone comuni (p. 128);
compito per una minoranza, evidentemente, in un mondo nel quale la maggioranza è impegnata al servizio dei potentati economici e politici, ad inseguire il proprio tornaconto personale o a diffondere il fatalistico pregiudizio che lo sfruttamento dell’uomo sul suo simile sia una “legge di natura” al pari di quella del pesce grande che mangia il piccolo.
Fofi non ci sta: “non accetto”, dice, citando Aldo Capitini, uno dei suoi maestri. Non si può accettare
che dappertutto la forza, la potenza, la prepotenza prevalgano: una realtà fatta così non merita di durare (p. 32).
Questo è il cuore della sua convinzione religiosa: la realtà della disuguaglianza, della sopraffazione – in una parola: della violenza – è una realtà provvisoria e insufficiente, che può essere trasformata dall’azione positiva dell’uomo che va incontro all’altro uomo. Speranza che è al tempo stesso etica: è l’amore del prossimo e il nostro senso di responsabilità nei suoi confronti il motore di ogni azione personale e collettiva. Ecco perché la minoranza che decide di operare in tal senso è una “minoranza etica”, formata da persone che scelgono di essere minoranza non per spirito elitario o per ostentato anticonformismo, ma per rispondere a un’urgenza morale (p. 21). Non c’è nulla di meritorio nel semplice esser parte di una minoranza: è che a volte non se ne può proprio fare a meno.
Affinché un’azione collettiva a favore della giustizia possa essere efficace, tuttavia, non è sufficiente l’azione morale singola, ma è necessaria quella sociale e collettiva (anche se non politica in senso stretto). Per il critico umbro è centrale l’“alleanza” tra gli intellettuali e gli oppressi:
credo che gli intellettuali, nel rispetto del proprio ruolo, dovrebbero avere l’obbligo morale, determinato dalla possibilità che hanno di studiare e capire più e meglio degli altri, di osare esser minoranza, di scegliere di esser minoranza, di mostrare una diversità reale, di legare la propria ricerca a una qualche forma di intervento sociale (pp. 29-30).
È questo il vero nodo da sciogliere (o, forse meglio, da tessere); Fofi crede in particolare alla forza del giornalismo vero, onesto, che sia «al servizio della realtà» e non dei centri di potere. La vera urgenza delle odierne società consumistiche, preda del sonno morale recato dall’anestesia mediatica, – sottolinea Fofi citando Paolo De Benedetti – è infatti affliggere i confortati, piuttosto che confortare gli afflitti. Risvegliare da questo sonno indotto, tramite il sano esercizio della critica alla politica, è il compito delle minoranze etiche, che non possono non essere critici verso una politica che crea divisione, discriminazione, disagio, né possono essere conniventi tacendo al riguardo.
Fofi – che annovera tra i maestri contemporanei, oltre al citato Capitini, Ivan Illich, Hannah Arendt, Albert Camus – sa bene che la ribellione all’ingiustizia è quanto di più utopico si possa immaginare. Non di meno, tale ribellione è un’esigenza indispensabile e improrogabile di questo tempo:
per me l’utopia è qualcosa di assolutamente contemporaneo, qualcosa che devi creare e che devi vivere oggi, e con pochi, visto che con tutti non è possibile (p 44).
Ciò che per la maggior parte è assurdo e inconcepibile, è per le minoranze etiche una sfida quotidiana.


(«l'Altrapagina», novembre 2009)

Paolo Calabrò

Filosofia e Noir

Madrelingua napoletano, vive a Caserta, dedicandosi alla famiglia, alla filosofia e, ovviamente, al noir. Gestisce il sito ufficiale di Maurice Bellet in italiano