lunedì 9 novembre 2009

Radici cristiane dell'Europa

Si parlò a suo tempo molto male dell'idea papale di inserire le cosiddette “radici cristiane” all’interno della nascente Costituzione europea. Questa idea venne avversata praticamente da tutti e venne affossata. Non mi pronuncio qui sui motivi addotti né sugli eventuali secondi fini del Vaticano; voglio soltanto fare in un certo senso il punto della situazione, esaminando le direzioni che l’Europa (in particolare l’Italia) sta prendendo.
Al di là di ogni disputa dottrinale, per il cristianesimo l’uomo ha valore al di sopra di ogni altra cosa. Per cui la solidarietà tra gli uomini (o fratellanza, o carità) è il più importante dei comandamenti (Mt 22,39). Da questo punto di vista, il richiamo alle radici cristiane poteva essere inteso come richiamo al valore fondamentale della persona, superiore e precedente a ogni legge (la legge dev’essere al servizio dell’uomo non contro di lui; ogni legge che sia contraria a questo assunto di partenza, si pone da sé al di fuori della legge). Ma il vero motivo alla base della rivolta contro questa proposta – fintamente condotta in nome della laicità, dell’imparzialità e della libertà – credo diventi finalmente visibile: quello che si voleva non era la libertà dall’“oppressione religiosa”, bensì la libertà dalla responsabilità morale nei confronti dell’altro, lo straniero, l’immigrato, il fratello. Il quale, infatti, finisce oggi per non essere più nient’altro che una questione di forza-lavoro assorbibile, insomma un problema come un altro da risolvere.

Tutti gli esseri umani [...] devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza.
Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, art. 1

Ma non intendo qui fare l’apologia della Chiesa o del papa. Il punto è che dimentichiamo con troppa facilità che le conquiste della nostra civiltà hanno un prezzo. Così, ad esempio, la protezione sociale (welfare) ha un costo, così come ha un costo ripescare in mare dei migranti in fin di vita (come ha fatto di recente il ministro Frattini). La morale, dal canto suo, è certo una limitazione della libertà (se potessi uccidere a mio piacimento sarei ovviamente più libero), ma non possiamo farne a meno se vogliamo continuare a dirci civili.
Né, in definitiva, è un problema solo religioso. La Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo parla espressamente, in apertura, di “famiglia umana” e dice a chiare lettere che tutti gli esseri umani devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza. Ora, è innegabile che da un punto di vista tecnico, la regolazione degli enormi flussi migratori verso il nostro Paese sia davvero un problema da risolvere. È pur vero però che non tutte le soluzioni sono uguali. Una soluzione come quella adottata dalla recente legge dell’8 agosto (“decreto sicurezza”, con modifica del testo unico sull’immigrazione – legge n° 286/98 – ed introduzione del reato di clandestinità), porta a chiedersi: si tratta di una legge emanata in spirito di fratellanza? Ovvero: ci piacerebbe che nostro fratello fosse trattato allo stesso modo degli immigrati che la subiscono?
È inutile qui invocare le esigenze dell’ordine pubblico; anche le leggi razziali fasciste miravano all’ordine. La legge non è buona solo quando è efficace; essa deve anche rispettare lo spirito di fratellanza umana che, come si è visto, è tanto cristiano quanto laico.

(«Il Caffè», 6 novembre 2009)

Paolo Calabrò

Filosofia e Noir

Madrelingua napoletano, vive a Caserta, dedicandosi alla famiglia, alla filosofia e, ovviamente, al noir. Gestisce il sito ufficiale di Maurice Bellet in italiano