domenica 24 gennaio 2010

C. Rocco, "I proiettili cadevano dal cielo. Storia dei bombardamenti a Caserta", 2008

L’occupazione nazista della provincia casertana, dall’armistizio fino alla ritirata, è al centro del saggio di Ciro Rocco, già collaboratore di questo giornale, “I proiettili cadevano dal cielo come il lancio del riso per una sposa. Note e riflessioni sui bombardamenti alleati a Caserta nell’estate del ’43” (in «Rivista storica del Sannio», n° 30, III serie, anno XV, Benevento 2008). L’autore ritiene che questa drammatica fase sella Seconda guerra mondiale abbia trovato una definitiva collocazione storiografica sotto il profilo militare e della resistenza attiva agli occupanti, ma non sul piano del ruolo assunto dalla popolazione locale e sulle ripercussioni psicologiche, individuali e collettive dei traumatici avvenimenti.

In guerra la vita diventa di colpo strana e incomprensibile, e anche la cosa più normale diventa assurda. Ogni ragionamento diventa contorto, il sospetto intride ogni cosa.

È la vita quotidiana che interessa allo studioso: lo strutturarsi dell’esperienza comune non più intorno alla casa, all’ufficio e allo scorrere omogeneo e silente del tempo, bensì intorno al rifugio e alla sirena che annuncia i bombardamenti. La vita diventa di colpo strana e incomprensibile, e anche la cosa più normale diventa assurda: così, per esempio, dei cittadini, all’ingiunzione di consegnare tutte le armi si interrogano sul da farsi; non perché intendano mettere in discussione l’ordine, ma perché una consegna volontaria potrebbe dare nell’occhio ed esporre alla visibilità la propria famiglia. Il ragionamento diventa contorto, il sospetto intride ogni cosa. Così ancora c’è chi si ritira in campagna (chi può) per sfuggire ai bombardamenti in città, ma non di meno è costretto periodicamente a recarsi proprio in città per evitare che i beni lasciati a casa divengano preda degli sciacalli. Il vero rovesciamento non è dunque quello dell’ordine civile che si sfigura nel suo reciproco stevensoniano, il disordine guerresco, ma quello di una vita che sembra sfuggire ad ogni razionalizzazione. Non si tratta di un qualsiasi mutamento, anche brusco e radicale, di abitudini, ma dell’installazione di un modo nuovo (e caotico) di vedere il mondo, le cose, la propria vita, che Rocco chiama “cultura del bombardamento”. Spaesamento che si aggiunge alle ovvie difficoltà tipiche di ogni guerra: il freddo, la scarsità delle risorse più indispensabili – l’acqua potabile, il cibo, i servizi igienici.
Rocco dà molto spazio alle testimonianze, di cui il testo abbonda (e di cui è costituita l’Appendice documentaria); sembra anzi volersi limitare a fornire un’introduzione essenziale alla vera voce del testo, che è quella della gente di quel luogo e di quel tempo – quella di cui veramente l’autore sente la mancanza in sede storiografica. Il saggio – già pubblicato parzialmente e a più riprese nel 2008 su queste pagine – cerca a suo modo di sanare quelle ferite invisibili – psicologiche, interiori, foriere di tanti disagi e sofferenze esteriori – di cui sono stati vittima bambini, vecchi, donne ma anche uomini, al fronte o in città, confusi dagli annunci badogliani e fino all’ultimo incerti sul futuro proprio e delle loro famiglie. Emozionante e catartico, ci spinge a riflettere sul nostro presente; di cui spesso (a volte giustamente) parliamo male, ma che ha un pregio innegabile di cui non dovremo dimenticarci: per noi, dopo 60 anni dall’ultimo conflitto, questo è ancora un tempo di pace.

(«Il Caffè», 22 gennaio 2010)

Paolo Calabrò

Filosofia e Noir

Madrelingua napoletano, vive a Caserta, dedicandosi alla famiglia, alla filosofia e, ovviamente, al noir. Gestisce il sito ufficiale di Maurice Bellet in italiano