lunedì 8 febbraio 2010

Allarmismi da provinciali

Non do lezioni di giornalismo, soprattutto a chi non me ne ha richieste. Nemmeno – presumendo di sapere meglio della signora Lina Pasca come l’articolo “Satanismi insospettabili nella tranquilla provincia” («Fresco di stampa», gennaio 2010, pp. 36-37) avrebbe dovuto essere scritto – mi metterò a spiegarlo: non ho questa presunzione. Qui farò solo una cosa, che ritengo possibile, legittima e forse doverosa: dire che cosa di quell’articolo non mi è piaciuto.

La stampa sembra incapace di trattare certi argomenti con lucidità e nervi saldi. Stereotipi, luoghi comuni, frasi fatte e tanta disinformazione sono la regola quando si parla di “satanismo”

Cominciamo dalle informazioni. L’articolo parla di satanismo in Italia e in particolare nella provincia di Caserta. Primo dato: 
in Italia si contano 400 aggregazioni con circa 600.000 sostenitori.
Secondo dato (appreso tramite la testimonianza di don Pietro Paolo Pellegrino, parroco di Aversa): 
qualche anno fa se si parlava di sette diaboliche si pensava subito alla città di Torino, uno dei tre cosiddetti vertici della magia bianca e nera. Oggi però il 23% di questi gruppi proviene dal Sud.
Terzo dato:
anche nelle modalità d’incontro c’è stata un’evoluzione. Mentre un tempo gli adepti si riunivano nelle chiese sconsacrate, oggi si incontrano nelle case. Sono gli appartamenti degli insospettabili, quelli della cosiddetta media borghesia di Caserta, Napoli e provincia. Banchieri, imprenditori, presidi, professionisti, questi sono i satanisti campani. Età media tra i 40 e i 50 anni, ma anche giovanissimi. S’ignora al momento se questi gruppi siano riuniti sotto la setta dei Bambini di Satana, delle Bestie di Satana o dei Luciferini.
Circa i dati riferiti non posso non domandarmi: da dove sono tratti? Quali sono le fonti della signora Pasca? E non perché voglia dubitare della sua sincerità (nonostante la scarsa verosimiglianza – in Italia ci sarebbe 1 satanista ogni 100 persone – o l’apparente gratuità – il 23% dei gruppi, non uno in più non uno in meno, proviene dal Sud – o anche l’approssimazione – età media fra 40 e 50 anni; ma l’età media è un valore, non un intervallo: dobbiamo pensare 45 anni?), bensì perché i dati in nostro possesso, cioè quelli degli specialisti che studiano il fenomeno da tempo e da vicino, sono molto, molto diversi (i “satanisti” sarebbero 1.500 secondo il ministero dell’interno, 5.000 secondo Danila Visca, docente di Storia delle religioni alla “Sapienza” di Roma ed esperta di culti esoterici e magici: cfr. “C’è allarme e allarme”, «Il Caffè», 10 luglio 2009, p. 4). Del resto, se l’unica fonte dell’autrice è l’esperienza come confessore di don Pietro, ebbene, con tutto il rispetto per il parroco di Aversa, non credo che la sua esperienza faccia statistica, né che possa venir estesa a tutta l’Italia e nemmeno alla sola provincia di Caserta.
Circa poi l’evoluzione delle modalità d’incontro: ma cosa se ne sa davvero? Piuttosto che le parole del parroco, avrei preferito trovarmi di fronte alle parole di un esperto che abbia raccolto una significativa quantità di informazioni attendibili. Qual è la fonte di cui l’autrice dispone, grazie alla quale si può dire che «c’è stata un’evoluzione»?
Due parole infine sulla sibillina conclusione. Cosa vuol dire esattamente che 
il credo in Cristo e quello nell’anti-Cristo viaggia [sic] su binari paralleli eppure convergenti?
Che l’uno vale l’altro? O, in stile più New Age, significherebbe che “non importa in cosa credi, purché la tua intenzione sia sincera”?
Allora, allora. Perché non mi è piaciuto. Perché invece di rispondere alle domande di partenza non fa che renderle più profonde. Perché il giornalismo dovrebbe aiutare – grazie all’opera dell’informazione – a decostruire immagini errate della realtà e a promuovere immagini più corrette (cioè più sgombre dall’ignoranza e dal pregiudizio). L’articolo citato promuove invece a mio avviso un’immagine ipotetica e derivativa («S’ignora al momento se questi gruppi siano riuniti sotto la setta dei Bambini di Satana, delle Bestie di Satana o dei Luciferini», dice ad esempio, come se non esistessero altre sette oltre a queste tre). Indagare è difficile, costoso, spesso pericoloso; per fortuna non obbligatorio. Ma, se proprio si vuol sospettare perfino dell’«insospettabile», allora indagare bisogna, e poi pubblicare tutto ciò che si viene a scoprire (e non le voci di corridoio). Almeno, così ho sentito dire.

(«Il Caffè», 5 febbraio 2010)

Paolo Calabrò

Filosofia e Noir

Madrelingua napoletano, vive a Caserta, dedicandosi alla famiglia, alla filosofia e, ovviamente, al noir. Gestisce il sito ufficiale di Maurice Bellet in italiano