mercoledì 24 febbraio 2010

A. Besancon, L'immagine proibita, ed. Marietti, 2009

Come fare ad esprimere la divinità se il divino è inesprimibile? Dalla tensione fra l’ineffabilità del divino e il bisogno, sempre frustrato ma sempre rinnovato di “dirlo”, in qualche modo, scaturisce il libro di Alain Besancon recentemente edito in Italia da Marietti, L’immagine proibita (2009).
Per gli ebrei il nome di Dio è impronunciabile; per i musulmani Allah non è visibile in alcuna immagine. Perfino per i cristiani (per i quali pure l’incarnazione di Dio in un uomo avrebbe docuto sbilanciare la questione sulla posizione opposta: “Chi vede me ha visto il Padre”, dice Gesù), la disputa tra i due estremi dell’iconofilia e dell’iconoclastia non trova composizione.
L’autore ricostruisce la vicenda a partire dalle sue origini ebraiche e greche, attraverso i secoli dell’impero romano e del medioevo, fino al Novecento. Il risultato è uno studio ponderoso ed erudito basato
su una bibliografia estesa a perdita d’occhio, in cui filosofia, storia (in particolare della Russia sovietica, di cui Besancon è esperto di fama internazionale), sociologia (ma anche estetica e storia dell’arte) si inseguono e si intrecciano di continuo, offrendo a ogni capoverso nuovi stimoli e spunti di ulteriore approfondimento.
Tra i filosofi di riferimento spiccano Kant, Pascal, Schopenhauer ma soprattutto Hegel, il quale “in sostanza – scrive l’autore – ha detto prima e meglio di me l’essenziale sul mio tema”. Ma non c’è solo l’essenziale, bensì tutto ciò che Hegel non ha potuto conoscere, che c’è stato dopo di lui, come la scoperta che
Malevic e Kandinskij, rifiutando la figura come incapace di abbracciare l’assoluto, recuperano senza saperlo l’argomento classico dell’iconoclastia.
Insomma, la lotta tra iconofilia e iconoclastia è tutt’altro che una cosa del passato e va ben oltre i confini delle scuole teologiche e delle religioni tradizionali: anzi, proprio la citata posizione assunta dall’astrattismo può mostrare come – perfino nel cuore del crudo laicismo sovietico – si annidi
un’iconoclastia nuova, se si considera che l’abbandono del riferimento agli ‘oggetti’, alla natura non proviene dal timore dinanzi al divino, ma dall’ambizione mistica di renderne un’immagine finalmente degna.
La fame umana della trascendenza resiste ai più duri tentativi di sopprimere il trascendente. Di tutto questo, Besancon ci restituisce la la più chiara delle “immagini”.

(«il Recensore.com», 20 febbraio 2010)

Paolo Calabrò

Filosofia e Noir

Madrelingua napoletano, vive a Caserta, dedicandosi alla famiglia, alla filosofia e, ovviamente, al noir. Gestisce il sito ufficiale di Maurice Bellet in italiano