martedì 27 aprile 2010

Invito al pensiero di Ivan Illich/6. Una fiammella nel buio. Intervista a Francesco Comina

A volte, a furia di parlare dei libri scritti da un uomo, ci si dimentica dell'uomo e ciò che rimane è solo l'"autore". Ivan Illich è stato un uomo che - oltre a soffrire enormemente per un cancro che rifiutò di curare con la tecnologia, preferendo l'oppio - ha pagato anche in prima persona e con la violenza fisica le sue scelte intellettuali radicali. Egli è stato testimone e modello, scolpendo il ricordo di sé nei tanti che hanno avuto la fortuna di incontrarlo. Fra questi, Francesco Comina, che ha affidato il suo ricordo a un libro, Il monaco che amava il jazz (ed. Il Margine, 2006), nel quale il ritratto del pensatore austriaco si trova accanto a quelli di Raimon Panikkar, Thomas Merton, Enrique Dussel. Ne abbiamo parlato con l'autore.

Lei ha conosciuto Illich personalmente, a Città di Castello, nel settembre del 2002. Che ricordo ne ha?
Fu una sorpresa per tutti. La sua presenza al convegno non era prevista. Ricordo lo stupore sul volto degli organizzatori ma anche la gioia di poterlo coinvolgere su un tema tanto interno al pensiero di Illich, ossia la guerra, che egli declinò subito come elemento vitale del male. La figura di Illich emergeva gigantesca nel mio orizzonte formativo e culturale. Fu un momento importante, perché un conto sono le letture svincolate dall'approccio diretto, fisico, un altro conto è vivere l'esperienza dell'incontro con i maestri e i testimoni di un'epoca. La grandezza di Illich stava nella coniugazione fra pensiero e azione. Egli non scriveva solo per dare voce agli ideali nascosti, ma per affermare verità vissute nella carne. Mi impressionò vedere la protuberanza tumorale che gli usciva dal collo e che lui, fedele alle tesi della sua Nemesi medica, si era sempre rifiutato di curare con i mezzi e i metodi della tecnologia scientifica. Di tanto in tanto accendeva una pipa aspirando del tabacco intriso di oppio per attutire i dolori. «Un metodo naturale - diceva - che mi ha insegnato un amico della Persia». Aveva il sorriso di un fanciullo e una lucidità di analisi sorprendente. Ricordava tutto. Al convegno de l'Altrapagina fece una riflessione originalissima. Ci condusse a pensare la guerra come parte di un male storico, alla stregua dei virus presenti nell'organismo della vita. Non possiamo estirparli, ma possiamo pensare ad una cura.
Illich: filosofo? Sociologo? Pedagogo?
Credo che non amasse le definizioni. Era un uomo di grande cultura. Studiava tantissimo, aveva la passione per i libri, per le biblioteche. Dalla storia raccoglieva il materiale per cercare di comprendere e interpretare il presente. Filosofia, sociologia, pedagogia sono discipline intrecciate perché la comprensione dell'uomo nella società è multiforme. Forse si potrebbe parlare di una antropologia illichana, ossia una visione dell'uomo nella sua integrità. Di qui la critica ai sistemi (economici, politici, scientifici, sociali) che presumono di rendere l'uomo monade e non uno spirito libero e naturale, un soggetto vivo nella libertà e nella responsabilità.
Nel Suo libro lo definisce "l'amorevole".
Amorevole nel senso più filosofico del termine, ossia capace di attutire le forme di odio e di violenza presupponendo un pensiero leggero, che alla legge dell'occhio per occhio, dente per dente, sostituisce quella della carezza e della nonviolenza. A primo acchito perdente ma a lungo raggio vincente. Amorevole poi nel significato che gli dette Teilhard de Chardin, «amoriser le monde», amorizzare il mondo. Ecco, Ivan l'amorevole tutto teso ad amorizzare il mondo.
Cosa rappresenta Illich per noi, oggi?
La libertà nella fedeltà. L'integrità nella complessità. L'autonomia di giudizio nel tempo dell'uniformismo e della omologazione di pensiero. Illich rappresenta il futuro. Le sue tesi sono territori ancora tutti da esplorare, sono spazi in cui far germinare una società davvero umana, davvero cosmica. Il suo lavoro è ancora tutto da fare, tutto da riscoprire.

(«l'Altrapagina», aprile 2010)

Paolo Calabrò

Filosofia e Noir

Madrelingua napoletano, vive a Caserta, dedicandosi alla famiglia, alla filosofia e, ovviamente, al noir. Gestisce il sito ufficiale di Maurice Bellet in italiano