mercoledì 28 aprile 2010

L'Africa ha diritto a una propria fisionomia. Intervista a padre Alex Zanotelli

Alex Zanotelli, missionario comboniano, per molti anni direttore di «Nigrizia», autore di diversi libri (con «l’Altrapagina» ha pubblicato Il ritorno della guerra), si trova oggi presso i Comboniani di Casavatore, in provincia di Napoli. L'abbiamo intervistato a proposito del Sinodo delle Chiese africane, al quale ha presenziato.

Cosa possiamo dire, a 5 mesi di distanza, del Sinodo delle Chiese africane tenutosi lo scorso ottobre?
Due reazioni impulsive: in primo luogo, più mi allontano da quel sinodo, più ne percepisco la grandezza degli interventi, molti dei quali straordinari e direi davvero profetici, da moltissimo tempo non sentivo parole così chiare e necessarie. In secondo luogo, in ambito italiano, purtroppo, pochissimo è arrivato di questa ricchezza: mi fa male che
l'evento sia passato inosservato sulla stampa e in tv, perché poteva essere un momento di grande grazia sia per la società italiana sia per la Chiesa italiana.
Questo è il secondo sinodo africano. Quali novità rispetto al precedente?
Direi che la principale novità è stata l'audacia dei vescovi, che si son sentiti molto più liberi di dire quello che dovevano. Rispetto al primo sinodo, molto più focalizzato sull'inculturazione, si è trattato qui dei problemi concreti, economici, politici ecc. dell'Africa. Oltre al coraggio nel chiamare le cose col loro nome, senza eufemismi, dicendo pane al pane, si è distinto anche lo sforzo di parlare più unitariamente come continente, con i problemi del "mondo nero" che affiorano alla coscienza della Chiesa d'Africa.
Quali prospettive si aprono per l’Africa?
È inutile che ci prendiamo in giro: per l'Africa non si aprono molte belle prospettive, anzi direi che la situazione andrà aggravandosi. L'Africa conta oggi solo l'1% del PIL mondiale e ciò peggiorerà; qualche mese fa la Banca mondiale ha attestato che oggi 280 milioni di africani vivono con meno di 70 centesimi di dollaro al giorno. Inoltre l'Africa pagherà il prezzo del disastro climatico: si attendono già 250 milioni di rifugiati. E questo nonostante l'Africa sia il continente che meno ha contribuito al surriscaldamento globale; ma è sempre così: sono sempre i poveri a pagare, mai i ricchi, né i responsabili.
Le parole chiave sono state “riconciliazione, giustizia e pace”. Perché?
Il sinodo si è focalizzato sui gravi problemi del continente, soprattutto quello della giustizia, a partire dalle cause, esterne come interne. Direi che il problema è stato colto bene e con la giusta ampiezza. Soprattutto si è insistito sulla riconciliazione: in Africa esistono esempi straordinari che cominciano a essere copiati altrove, come quello della commissione "verità e riconciliazione" guidata da Desmond Tutu, che ha svolto un ottimo lavoro nel superamento dell'apartheid in Sudafrica (ma non di meno in Sierra Leone). Il tema della riconciliazione è fondamentale in Africa, anche dal punto di vista pastorale: basterebbe leggere le considerazioni finali, in cui ci si augura che molti dei rituali di riconciliazione africani vengano assunti dalla Chiesa, che la confessione non sia più soltanto personale, ma che anche i peccati sociali vengano elevati dal piano personale a quello comunitario.
Che importanza ha questo sinodo per noi in Occidente?
Ha un'importanza enorme, soprattutto a livello ecclesiale: la Chiesa d'Occidente deve cominciare a capire che c'è una chiesa sorella africana ormai adulta che chiede il proprio spazio. Ricordo le grandi parole di un cardinale al primo sinodo: "noi non chiediamo permessi né favori, ne abbiamo diritto". La chiesa d'Occidente deve capire che l'Africa ha il diritto e la necessità di andare verso una propria teologia, verso una propria liturgia e un proprio diritto canonico ecc. È un'idea che in Occidente abbiamo difficoltà ad accettare; perché l'Africa mette in evidenza che molte delle cose che al mondo non vanno ci vedono direttamente responsabili in quanto occidentali: lo schiavismo, il colonialismo, il neocolonialismo, il neoliberismo. In particolare, l'Europa e l'Italia sono state richiamate dai vescovi africani su temi molto importanti: prima di tutto il problema del razzismo, sul quale si sono avuti interventi durissimi e pesantissimi, ma anche sui diritti degli immigrati (in primo luogo il diritto ad immigrare), sul nostro modo di trattare gli immigrati in Europa (ben sapendo che tra l'altro questa gente spesso è in fuga dalla guerra e dalla dittatura). C'è stato un richiamo forte al problema economico: ultimamente sta diventando massiccio l'acquisto delle terre africane da parte delle multinazionali occidentali, anche europee, finalizzato alla coltivazione di piante come la soia e il mais, dai quali produrre etanolo (i cosiddetti biocarburanti: si soddisfa la fame di energia dei popoli ricchi ma non la fame dei popoli africani poveri, e ciò con la connivenza dei governi locali). Tra gli altri temi affrontati: i disastrosi EPA (Economic Partnership Agreements - Accordi di Parteneriato Economico), il commercio delle armi, che ci vede implicati come italiani in prima linea. L'Africa ci intrerpella direttamente perché l'Italia, l'Europa, l'Occidente cambino, e comincino a rispettare ed aiutare gli altri popoli.
La stampa africana ha plaudito alla nomina del cardinale ghanese Turkson. Cosa ne pensa?
L'ho incontrato al sinodo. Ho letto i suoi interventi e mi ha fatto una bellissima impressione. È un uomo straordinario che certamente porterà giustizia e pace nel cuore dell'Africa e della Chiesa.
Africa: terra di missione cristiana o risorsa neocoloniale da sfruttare?
La missione d'Africa deve ripensare se stessa, comprendendo la necessità di essere povera con i poveri, di accompagnarli ed aiutarli a rimettersi in piedi. È finita l'epoca in cui andavamo lì carichi di mezzi provenienti dall'Occidente. So quanto sia difficile per i missionari cambiare, però penso che la missione debba cambiare, se no rischia di diventare essa stessa funzionale a questo sistema. Un esempio per tutti: per quanto i missionari si sforzino, la loro essenzialità non raggiunge mai davvero quella della gente. Essi rischiano di continuare ad essere, contro ogni loro intendimento e perfino inconsapevolmente, l'ennesimo richiamo verso i luccichii del capitalismo occidentale. Bisogna invece semplicemente stare con la gente, condividerne il destino, fare insieme il cammino facendo tutto il possibile per rialzarsi in piedi dell'Africa.
In Africa cresce molto il cristianesimo e ancor di più l’Islam. Una nuova forma di colonialismo religioso? Perché le religioni africane non si espandono fuori dal continente?
È una domanda molto difficile. Faccio alcune premesse: la religione tradizionale africana è stata in questi secoli profondamente disprezzata e trattata come una religione inferiore, come una non-religione. Basterebbe ricordarci di tutti i termini che abbiamo usato, da "paganesimo" ad "animismo": tra l'altro sono termini sbagliati, perché gli africani non sono pagani, hanno dei grossi valori anche nel senso del rispetto per la natura e l'ambiente, che potrebbero molto arricchire sia il cristianesimo sia l'Islam. Queste religioni (purtroppo in via di estinzione, ciò che sarebbe un vero peccato) sono una ricchezza e possono migliorare il cristianesimo e l'Islam. Lo dico con consapevolezza, perché sono stato molto toccato, nel profondo, dall'esperienza religiosa africana, che mi ha aiutato a recuperare molte cose che avevo perso. Ci vuole una inculturazione seria e ben fatta: gli africani non potranno mai pregare come noi, non potranno mai avere una teologia identica alla nostra. La loro esperienza religiosa cristiana potrà essere genuina e fruttuosa solo se in essa riusciranno a ritrovare il meglio della loro tradizione originaria.
Il Papa ha richiamato nella sua omelia di chiusura la consolazione di Geremia. Quale consolazione può offrire oggi il cristianesimo all’Africa? Quale consolazione può giungere dall’Africa a noi occidentali?
La vera consolazione che può giungere ai popoli africani non è un discorso consolatorio, ma l'aiuto fraterno, concreto ed efficace, a rimettersi in piedi. "Alzati e cammina" è il titolo del documento finale dei vescovi: dietro c'è tutta la teologia africana, che è teologia non solo dll'inculturazione, ma anche della liberazione - che non vuol dire rivoluzione, bensì concretezza dell'opera, liberazione di fatto dalla morsa dei mali richiamati in precedenza, economici, politici culturali. Dio vuole che tutti gli uomini abbiano la vita, e che l'abbiano in abbondanza.
(«l'Altrapagina», aprile 2010)

Paolo Calabrò

Filosofia e Noir

Madrelingua napoletano, vive a Caserta, dedicandosi alla famiglia, alla filosofia e, ovviamente, al noir. Gestisce il sito ufficiale di Maurice Bellet in italiano