venerdì 14 maggio 2010

La scienza del buon senso

L’ultima dalla rete è che - cito testualmente il titolo dell’articolo dell’ANSA
la musica di Mozart non rende più intelligenti.
Da una ricerca dell’università di Vienna, che ha esaminato più di 40 studi sul tema, è emerso che non c’è nessuna associazione tra le opere del compositore e le prestazioni cognitive. Mentre in passato si era ipotizzato il contrario: un team di ricercatori californiani, in un articolo su «Science» nel 1993, aveva individuato il cosiddetto "effetto Mozart", rivelatosi oggi inesistente in seguito alla ricerca dell’università viennese.
Di che rimanere allibiti. Gli esperti ci avevano detto che la musica di Mozart ci avrebbe resi più intelligenti, e noi giù ad ascoltare forsennatamente la turca e il flauto magico (magari imbattendoci nella constatazione che non c’è niente di più frustrante che voler eseguire un gorgheggio senza riuscirci). Ma non è la prima volta che
ci imbattiamo in simili notizie-bomba: a marzo 2008 leggemmo sul quotidano «La Stampa» che parlare al telefonino durante la guida dell’auto induce distrazione. Uno studio dell’Università Carnegie Mellon di Pittsburgh, pubblicato su «Brain Research», ha infatti spiegato che - anche se si attiva il vivavoce o si usa l’auricolare per tenere entrambe la mani incollate sul volante - i rischi su strada aumentano ugualmente. Basta l’ascolto del cellulare, dunque, a distrarci dalla guida, assicurano i ricercatori.
Incredibile, no? Fare due cose contemporaneamente ha come conseguenza che le si fa male entrambe. Ma veramente c’era bisogno che ce lo dicessero gli scienziati? Non ci è mai capitato di avere a che fare con una persona che parla con noi mentre giocherella al computer, sostenendo di essere in grado di fare più cose contemporaneamente, e scoprire alla fine che non aveva ascoltato una sola parola di ciò che abbiamo detto?
Non voglio irridere la scienza né sminuire la ricerca. Siamo seri. Il punto è che - pur senza scomodare la sociologia di Ivan Illich, che già negli anni ’70 denunciava la nostra "perdita dei sensi", l’incapacità di fidarci della nostra personale (e tradizionale) percezione, degenerata in una fiducia incondizionata e acritica negli "esperti" di turno - oggi siamo realmente incapaci di prendere una decisione se non consultiamo lo specialista, i sondaggi o almeno internet. Non siamo nemmeno in grado di capire come ci sentiamo realmente, se non ce ne dà prima conferma il medico (con i suoi esami "obiettivi"). La complessità del mondo (e la sua professionalizzazione, per usare ancora un termine illichiano), nonché l’aumento progressivo e invasivo della tecnologia nel quotidiano, ci privano continuamente e sempre di più della nostra autonomia e della nostra capacità di giudizio. Oggi non siamo più in grado di capire delle cose che sarebbero sembrate ovvie o perfino banali ai nostri incolti nonni: fa notizia che la musica di Mozart non renda più intelligenti; fa notizia che parlare al telefono distragga dalla guida.
Tornando alla scienza, oggi gli studi di neurobiologia ci bombardano dicendo che noi uomini siamo macchine pensanti, che il pensiero umano non è null’altro che un modo romantico di denominare l’attività elettrochimica dei circuiti cerebrali. E noi (senza ironia) ci inchiniamo di fronte a tanta scienza. Domani ci "dimostreranno" che l’uomo è più della semplice attività del suo corpo e noi potremo finalmente abbozzare un sorrisino silenzioso, sospirando fra noi: "l’abbiamo sempre saputo".

(«AgoraVox», 14 maggio 2010)

Paolo Calabrò

Filosofia e Noir

Madrelingua napoletano, vive a Caserta, dedicandosi alla famiglia, alla filosofia e, ovviamente, al noir. Gestisce il sito ufficiale di Maurice Bellet in italiano