Nel suo ultimo libro La morte del prossimo (ed. Einaudi, 2009), Luigi Zoja - psicanalista di rilievo internazionale - ci spiega che uno dei motivi principali per cui chi viaggia in aereo decide di passare - moltiplicando anche per 10 il costo del biglietto - alla classe superiore, è la presenza di mini-pareti (soprattutto all'altezza degli occhi, come prolungamento dei poggiatesta) che letteralmente sottrae allo sguardo gli altri viaggiatori, così da evitare il contatto degli sguardi.
La nostra epoca - continua il professore - sembra far di tutto per evitare quella "fatica dello sguardo" di cui già Freud parlava un secolo fa: la nostra è infatti l'epoca del contatto virtuale con l'altro attraverso internet, in cui ogni bisogno (e ogni possibilità di soddisfazione) tende a farsi individuale. È anche l'epoca in cui l'altro ci è vicino come non mai, a causa degli enormi flussi migratori: eppure, mai come ora, egli ci è estraneo, indifferente, incomprensibile. Oggi, conclude Zoja, siamo al punto in cui entrambe le metà del comandamento cristiano dell'amore, su cui la nostra morale millenaria è edificata ("Ama Dio con tutto te stesso ed ama il prossimo come te stesso") sono diventate impraticabili: perché "Dio è morto" già dal tempo di Nietzsche, e il prossimo... non sappiamo più neanche cosa sia. Per noi anche il prossimo è morto.
Ma quello dell'"altro", ovviamente, non è un problema solo moderno; esso è ben più antico ed ampio dell'intuizione di Freud. Come spiega Luigino Bruni in La ferita dell'altro (ed. Il Margine, 2007), l'altro mi ferisce - anche solo potenzialmente - perché non è sotto il mio controllo. Dall'esigenza di "addomesticare" questa imprevedibilità, tra il 1400 e il 1500 fioriscono teorie umanistiche come quella di Hobbes (nella quale l'uomo è per l'altro uomo un lupo da cui proteggersi) fino a quella di Adam Smith, basata sul "contratto" (teoria tutt'oggi sostanzialmente a fondamento della nostra società). Con il contratto l'altro si obbliga a rispettare il patto sottoscritto, pena le sanzioni stabilite. Un modo per difendersi da qualcuno di cui si ha paura (di cui non ci si fida). Si passa così dalla società del dono e della fiducia (di cui la comunità è informalmente garante) a quella della diffidenza e del do ut des (in cui i rapporti sono regolati privatamente).
L'intento di Smith era certo lodevole: il moralista inglese voleva così introdurre la parità tra i membri della società, tramite il mercato: perché il contratto tra pari consenzienti (orizzontale) conferisce dignità ad entrambi e affranca dall'umiliazione del rapporto fra padrone e servo (verticale). Oggi, tuttavia, in questi tempi di flessibilità, precariato, disoccupazione e lavoro nero, ne percepiamo tutto l'insuccesso: la ferita dell'altro, anziché essere sanata, è diventata uno squarcio.
Esistono però - suggerisce Bruni - alternative a questa economia, come l'economia civile di Antonio Genovesi e Gaetano Filangieri (ma anche di Olivetti); esistono alternative - ricorda Zoja - all'estraneità reciproca, come la prossimità, la vicinanza corporea, emotiva, culturale (che, sottolinea il professore, si è rivelata capace di aprirsi un varco perfino nel mezzo del genocidio nazista). Solo riscoprendo l'"altro" come "prossimo" potremo imparare a vivere insieme, cominciare a risolvere insieme problemi che sono comuni e che si fanno sempre più grandi (come quello ambientale e climatico) e cui sempre più spesso non riusciamo a far fronte da soli (si pensi al disastro causato nel Golfo del Messico dalla British Petroleum). E riscoprire ciò di cui tutti abbiamo bisogno, più della tecnologia, più dell'energia: la pace.
(«Il Caffè», 18 giugno 2010)
domenica 20 giugno 2010
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