martedì 27 luglio 2010

Il modello giuglianese

Spesso ce ne dimentichiamo, magari perché lo diamo per scontato, ma l'ingrediente fondamentale della nostra moderna società democratica occidentale è la fiducia, non la certezza. Spesso riteniamo erroneamente che al fondamento del nostro ordine sociale ci sia il diritto, con le sue leggi minuziose e la minaccia delle sanzioni a far da deterrente: si invoca la "certezza del diritto" (cosa peraltro sacrosanta) come se da essa potesse derivare la certezza del rispetto delle regole (e dunque la propria incolumità dai rischi della devianza).
Eppure, anche nella nostra odierna e ancor più italiana incertezza del diritto, usciamo di casa ogni mattina (superando la paura che qualcuno possa trucidarci per strada con raffiche di mitra), mandiamo i nostri figli a scuola, invece che rinchiuderli a doppia mandata nella loro stanzetta (superando il timore che qualcuno possa porterceli via). Insomma: il rischio che qualcuno possa entrare armato a scuola e ucciderli, esiste - lo sappiamo dai giornali; se continuiamo a mandarceli, tuttavia, è perché riteniamo questa eventualità estremamente improbabile.
È di queste considerazioni, di queste valutazioni, di questo atteggiamento fiducioso, che è intrisa la nostra vita quotidiana. Ogni nostro piccolo irrilevante passo dà per scontata la fiducia che la terra non ci crollerà sotto i piedi. E ciò avviene perché - a dispetto della grossa quantità di notizie allarmanti che appunto ci danno i media - la nostra vita quotidiana è fatta di una monotona, rassicurante, tranquilla "normalità". Su questo ci poggiamo. Di questo ci confortiamo. A questo, giorno dopo giorno, ora dopo ora, ci abituiamo fino al punto da non farci più caso.
Ora. leggo che a Giugliano, a due passi da noi (al confine con la provincia di Caserta), una indagine della Guardia di finanza ha rilevato che 1 tabaccaio su 2 è privo della regolare licenza d'esercizio. Non mi colpisce l'abuso: è solo una forma di contrabbando al chiuso piuttosto che in strada. Mi colpisce la percentuale: il 50% dei tabaccai, a Giugliano, è abusivo. E istintivamente mi chiedo: se questa è la normalità (in cui la delinquenza è la normalità per la metà della popolazione), devo rivedere la mia attuale idea di normalità (in cui la delinquenza è un'eccezione statisticamente irrilevante). Perché qui la legge sarà del tutto inefficace: quanti giudici, quanti tribunali, quante guardie e quante carceri ci vorranno per far fronte a tanto crimine (prima che si venga sopraffatti dalla tentazione della giustizia sommaria e delle "leggi speciali")? Qui la legge non può funzionare più. E nemmeno la democrazia. Cioè, la società intera.
La colpa di tanta delinquenza io la do anche (senza sottovalutare il ruolo della criminalità organizzata e della disoccupazione di una terra schiacciata dalla povertà, tanto più pesante in quanto posta nel bel mezzo di una ricchezza possibile, per tutti, ma ingiustamente ripartita) al modello di uomo che propagandiamo oggi, quello del ricco a tutti costi (anzi, meglio se a buon mercato). Per cui l'arricchito, anche se in maniera disonesta, viene visto come uno scaltro figuro che ha saputo farsi strada: non ci ripugna, anzi, lo esaltiamo (penso ad esempio a Fabrizio Corona, platealmente condannato dalla magistratura e tuttavia onnipresente sui manifesti stradali; in autunno sarà protagonista di una serie per la televisione pubblica). E invece una simile immagine dovrebbe farci schifo, perché priva della bellezza che solo l'onestà e la trasparenza possono conferire. Dovrebbe darci lo stesso fastidio del guardare attraverso un vetro sporco. Per ripristinare questa estetica, ancor prima che questa etica, dobbiamo lavorare parecchio, tutti quanti. Non sono solo parole. O, almeno, non devono rimanerlo.

(«Il Caffè», 23 luglio 2010)

Paolo Calabrò

Filosofia e Noir

Madrelingua napoletano, vive a Caserta, dedicandosi alla famiglia, alla filosofia e, ovviamente, al noir. Gestisce il sito ufficiale di Maurice Bellet in italiano