giovedì 1 luglio 2010

La questione della terra in Sudafrica. Intervista a Francesco Rossolini

Il 1994 è l’anno che decreta la fine dell’apartheid e l’inizio del proceso di democratizzazione in Sudafrica. Processo “miracoloso” secondo alcuni osservatori, durante il quale il governo è riuscito perfino ad evitare la reazione violenta nei confronti dei bianchi fino al giorno prima oppressori. In questa cornice comincia ad attuarsi il complesso tentativo di restituire la terra ai proprietari espropriati durante l’apartheid. Di queste difficoltà abbiamo parlato con Francesco Rossolini, autore del volume La questione della terra in Sudafrica (ed. Carocci, 2009).

La schiavitù in Africa è finita ufficialmente nel 1834, ma ancor oggi parliamo delle difficoltà nella ridistribuzione delle terre. Coma mai?
La schiavitù purtroppo ha lasciato il posto ad altre forme di tirannia. L’uomo bianco in Sudafrica, per quasi tutto il XX secolo, ha continuato a considerare la popolazione nera una proprietà, esattamente come una mandria. Tutte le terre della popolazioene nera vennero espropriate dai dominatori bianchi, i neri furono relegati in una specie di immensi campi profughi, nelle zone periferiche. Le loro case vennero distrutte e le terre confiscate. Per questo ancora oggi in Sudafrica molti neri chiedono di ottenere indietro le terre che furono dei propri avi.
Lei parla di “connubio indissolubile” tra popolo afrikaner e terre d’Africa. Che vuol dire?
Il popolo afrikaner, ovvero l’insieme dei coloni provenienti dall’europa centrale che chiamiano comunemente boeri, è giunto in Sudafrica credendo proprio che quella terra fosse stata destinata loro da Dio. Sin da subito si sono distinti come allevatori ed agricoltori di grande tenacia. Hanno combattutto sia con i nativi sia con gli inglesi per quelle terre. Oggi le aziende agricole dei boeri producono olio, vino e carne di altissimo livello. La questione è che quelle terre sono state strappate ai nativi, pertanto oggi in un sistema democratico è più che legittima la rischiesta di risarcimento da parte dei neri. Parlo di risarcimento poichè la normativa pevede anche risarciemnti alternativi alla restituzione della terra, questo per preservare anche l’eccellenza in campo agricolo delle aziende dei boeri.
Che importanza ha per noi il problema della ridistribuzione? L’UE è coinvolta nel processo?
Per noi ha un’importaza enorme dal punto di vista dei diritti umani. Il Sudafrica è divenuto uno Stato democratico alla fine del XX secolo e questo senza che la maggioranza nera effettuasse una sanguinaria ritorsione contro i bianchi, che fino al 1994 hanno spadroneggiato sul Paese. Non si dimentichi che l’apartheid è stato un vero e proprio regime a matrice nazista. Il processo di democratizzazione pacifico del Sudafrica è stato definito da molti osservatori addirittura come «miracoloso». La UE ha dei progetti molto importanti nell’Africa Australe. Collabora attivametne con la SADC (Southern
 African
 Development 
Community) ed è intervenuta nella ridistribuzione della terra in Zimbabwe ma non ha un coivolgiemento specifico nel processo di ridistribuzione della terra in Sudafrica.
Imputa la lentezza del processo di ridistribuzione al rischio dell’impoverimento. Che legame c’è fra le due cose?
La lentezza del processo di ridistribuzione dipende unicamete dalla necessità di preservare l’integrità dell’importante settore agricolo sudafricano. La ridistribuzione ha una forte valenza simbolica, ma da un punto di vista pratico è ragionevole che il Governo provveda anche con forme di risarcimento alternative. No, effettivamente non c’è un legame diretto tra lo stato di indigenza, a cui ancora molti milioni di sudafricani sono costretti, e la lentezza nel processo di ridistribuzione. Non è francamente credibile poter debellare la povertà con la sola agricoltura, anche perchè la popolazione nera spesso non dispone delle conoscenze necessarie per poter avviare attività agricole di alto livello e redditizie.
Nessuna alternativa all’iniquità? O la povertà di tutti, o la ricchezza dei soli farmers (i bianchi)?
Indiscutibilemte i farmers sono una ricchezza da preservare, non si dimentichi che i loro vini fanno concorrenza con onore a quelli italiani e francesi. Stesso discorso per l’olio d’oliva. La carne è poi di qualità straordianria. Certo ci sarà iniquità ancora per parecchi anni ma una confisca generalizzata di tutte le terre dei bianchi a favore dei neri avrebbe portato al disatro economico. Non ci si improvvisa agricoltori ed allevatori di altissimo livello. La ragione di Stato è spesso cinica, ma in questo caso non credo ci potesse essere un’alternativa indolore.
Ha scritto che il Sud Africa è uno Stato ma non ancora una nazione. Perché? Cosa manca?
Questo l’ho scritto in un recente articolo anche dell’Italia. Mancano le stesse cose: senso dello Stato, amor di Patria, senso del bene comune. Con buona probabilità il Sudafrica diventerà una vera Nazione ben prima dell’Italia.

(«Pagina3», 28 giugno 2010)

Paolo Calabrò

Filosofia e Noir

Madrelingua napoletano, vive a Caserta, dedicandosi alla famiglia, alla filosofia e, ovviamente, al noir. Gestisce il sito ufficiale di Maurice Bellet in italiano