domenica 15 agosto 2010

Indipendenza nucleare

Oggi ascoltiamo altri due luminari della scienza, l’astrofisica Margherita Hack e l’oncologo Umberto Veronesi, la cui opinione in materia di energia atomica (sebbene non si tratti di due fisici nucleari) ci sembra importante da accostare a quella di Zichichi.
I due studiosi sono firmatari, tra gli altri, di una lunga lettera indirizzata al segretario del Partito Democratico, Pierluigi Bersani, finalizzata a spiegargli che “il nucleare non è né di destra né di sinistra” e che non bisogna esser prevenuti nei suoi confronti.
Riportiamo una parte della lettera:
Una situazione che richiederebbe scelte ragionate, risposte strutturali “sostenibili” oltre che efficaci sia in termini di riduzione dello sbilanciamento strategico del mix energetico nazionale, sia in termini di miglioramento del suo impatto ambientale complessivo. Per definire tali scelte a nostro avviso tutte le opzioni dovrebbero essere considerate, nessuna esclusa, inclusa quella nucleare, non come “la” soluzione ma come “parte della” soluzione. L’energia nucleare, quasi ovunque, nel mondo industrializzato è vista come un’insostituibile opportunità che contribuisce alla riduzione del peso delle fonti fossili sulla generazione di energia elettrica, compatibile con un modello di sviluppo eco-sostenibile. Dal punto di vista ambientale non vi è programma internazionale accreditato per la riduzione della CO2 che non preveda anche il ricorso all’energia nucleare e non vi è un solo studio internazionale che affidi alle sole rinnovabili il compito di ridurre il peso dei combustibili fossili.
Spiacente di contraddire i benemeriti firmatari, ma lo “studio internazionale che affidi alle sole rinnovabili il compito di ridurre il peso dei combustibili fossili” esiste eccome, ed è la relazione dell’Agenzia federale tedesca per l’ambiente, commissionata dal Ministero dell’Ambiente della Germania.
Il punto da chiarire, tuttavia, è un altro. Quando si dice che il nucleare dovrebbe coprire entro il 2030 il 25% del fabbisogno energetico nazionale (affidando la restante parte per 2/3 ai combustibili fossili e per 1/3 alle rinnovabili, il cosiddetto “mix energetico”), in realtà non si sta parlando del fabbisogno energetico complessivo, ma solo del fabbisogno di energia elettrica, pari al 20% del totale (composto per la maggior parte dal riscaldamento domestico e dagli spostamenti su gomma). L’energia nucleare dovrebbe quindi coprire una richiesta del 25% del 20%, pari al 5% del totale. Mentre il restante 95% andrebbe prodotto in altri modi.
Ci si domanda se il discorso abbia un senso. Spendere miliardi (e non pochi) di euro per costruire centrali delle quali non sarà verosimilmente possibile prevedere i costi di costruzione, né i tempi di realizzazione, né il prezzo finale del confinamento in sicurezza delle scorie e tutto per un misero... 5%. Una minima parte di queste cifre, investita in ricerca, sperimentazione, benchmarking e incentivazione, potrebbe permetterci di aspirare (perché no?) agli stessi risultati della Germania. (Accenno solo di volata al problema delle scorie: per gli scienziati citati, esso semplicemente «costituisce un grande tema di ricerca e innovazione tecnologica», e non un problema da risolvere assolutamente prima di cominciare: questo in barba a ogni preteso pragmatismo scientifico, abituato a dire che gli “ambientalisti” non fanno altro che crogiolarsi nei problemi invece di risolverli).
Per rimanere in tema di convenienza economica, val la pena di ricordare che:
- il prezzo dello yellowcake (miscela di ossidi di uranio ad alta concentrazione - contiene circa il 70% di uranio - ottenuta dalla raffinazione del materiale estratto - che al contrario ne contiene solo l’1%) è aumentato di 6 volte in soli 7 anni (dal 2000 al 2007), come accade ad ogni risorsa che comincia a scarseggiare: ciò anche perché abbiamo superato già da molti anni il punto di turnover per l’uranio (cioè ne consumiamo più di quanto se ne estragga);
- non è vero che in Italia l’energia elettrica costi di più che nel resto d’Europa: il costo è invece (per quel 60% delle famiglie italiane che consumano meno di 2.500 kWh all’anno) inferiore alla media europea (fonte: garante per l’energia e il gas, relazione annuale, 2009);
- il nucleare (ufficialmente accantonato nel 1987) lo stiamo ancora pagando in bolletta (per coprire i costi di smantellamento delle centrali nucleari, quelli degli incentivi al nucleare ecc.).
Insomma, non per amore dell’autocitazione, ma perché suona bene, fa rima ed è innegabile: se vi piace il nucleare, preparatevi a pagare.

(«AgoraVox», 13 agosto 2010)

Paolo Calabrò

Filosofia e Noir

Madrelingua napoletano, vive a Caserta, dedicandosi alla famiglia, alla filosofia e, ovviamente, al noir. Gestisce il sito ufficiale di Maurice Bellet in italiano