venerdì 10 settembre 2010

Nucleare senza futuro. Intervista a Leonardo Mazzei

Leonardo Mazzei fa parte del Campo Antimperialista e scrive sull’omonimo sito. In passato ha militato in Democrazia Proletaria, dalla sua fondazione (1978) al 1989. Nel 1991 ha aderito a Rifondazione Comunista, di cui è stato membro della Direzione nazionale, fino al 1997 quando è uscito dal partito in dissenso con la linea di appoggio al governo Prodi.

Cosa è successo nel 2007 nella centrale nucleare giapponese di Kashiwazaki? Potrebbe accadere anche a una centrale in Italia?
In questa centrale atomica - la più grande del mondo (8.000 Mw di potenza installata) - a seguito di una scossa sismica, peraltro di intensità assai inferiore rispetto a quella considerata nei calcoli di progetto, si sono verificati ben 13 guasti "inattesi". In particolare ci sono state perdite radioattive e diversi incendi, che portarono alla chiusura della centrale. Questo caso è importante perché, pur trattandosi di un evento decisamente meno drammatico di Chernobyl o di Three Mile Island, ha smentito tutte le previsioni sulla sicurezza in una centrale modernissima, in un paese all’avanguardia tecnologica e famoso per la prevenzione antisismica. Per quanto riguarda l’Italia è difficile immaginare una situazione simile, tuttavia l’alta percentuale di territorio sismico riduce drasticamente le aree in cui individuare i siti atomici.
È vero che in tutto il mondo esistono già depositi di scorie cosiddetti “secolari” (come quello di Asse in Germania, recentemente evacuato a causa di una infiltrazione d’acqua)?
Dei depositi di scorie si sa veramente poco. Quel che è certo è che i cosiddetti "depositi geologici definitivi" restano una chimera. Quello che i cittadini spesso non conoscono è il costo esorbitante dello smaltimento. Basti pensare al caso dell’Italia, dove il costo delle scorie prodotte dalle centrali chiuse è stimato in circa 4 miliardi di euro. Due di questi miliardi sono stati spesi nel periodo 1987 - 2001. Ma per finanziare l’attività della Sogin, la società incaricata della gestione delle scorie, i cittadini continueranno a pagare a lungo, sulle bollette elettriche, questi costi del nucleare di cui spesso ci si dimentica quando si parla dei presunti "risparmi" dell’energia atomica.
Qual è il contributo attuale del nucleare alla copertura del fabbisogno energetico globale? Il nucleare può davvero risolvere i problemi energetici del pianeta, come sostengono molti fisici autorevoli, come Margherita Hack e Antonino Zichichi?
Il contributo del nucleare è modesto e, cosa più importante, ha ormai raggiunto il proprio picco produttivo. Il nucleare copre attualmente solo il 6% dei consumi energetici totali ed appare destinato a non andare oltre tale percentuale. L’età media degli oltre 400 reattori in esercizio nel mondo è di 25 anni, e per sostituirli in base ai tempi previsti dalle attuali licenze dovrebbe entrare in funzione nei prossimi anni un nuovo reattore ogni 45 giorni. Un obiettivo palesemente impossibile da raggiungere, che sta spingendo gli Stati ad elevare la durata delle licenze, aumentando così i rischi per la sicurezza legati alla vetustà dei reattori. In questo quadro la stessa previsione della IEA (International Energy Agency) di un modesto incremento della quota coperta dal nucleare nel 2030 (6,9%), appare del tutto irrealistica. Peraltro non va mai dimenticata la scarsità delle riserve di uranio "ragionevolmente assicurate", che l’AIEA considera sufficienti (a consumi invariati) solo per i prossimi 35 anni. Il nucleare - al di là dei gravissimi problemi di sicurezza ed inquinamento - non è dunque in grado di risolvere i problemi energetici del pianeta, e prevedibilmente lo sarà ancora di meno nel futuro.
Il nucleare può abbassare il costo dell’energia elettrica, permettendo ai cittadini un “risparmio in bolletta”?
Assolutamente no. Restando al caso italiano, oltre ai costi per lo smaltimento delle scorie, gli utenti continuano a pagare in bolletta i 10 miliardi di euro gettati dall’Enel nell’avventura del reattore Superphénix, il reattore autofertilizzante che prometteva meraviglie, che non ha mai immesso in rete un solo Kilowattora e che sta arrugginendo dalle parti di Creys-Malville, in Francia. Ma il punto vero è il costo degli impianti, che sta aumentando a dismisura. Il costo della centrale di Olkiluoto, in Finlandia (identica a quelle che si vorrebbero costruire in Italia) è passato da 3,0 a 5,3 miliardi di euro. Stessa revisione dei prezzi è avvenuta, nel silenzio della stampa nazionale, per l’altra centrale "gemella" in costruzione a Flamanville in Francia, impianto di cui l’Enel detiene una quota del 12,5%. La verità è che per avere un qualche risparmio in bolletta occorrerebbe una nuclearizzazione spinta del sistema elettrico del tipo di quella realizzata in Francia. Un obiettivo palesemente impraticabile. In Italia semplicemente folle per le caratteristiche del territorio, ma che nessun paese al mondo oggi persegue. Il tempo dell’"illusione" nucleare è finito. Questo lo sanno tutti, solo che il partito degli affari è forte, e la certezza di poter spillare denaro pubblico non è una tentazione da poco per i signori dell’energia.
Oggi siamo indipendenti dal punto di vista energetico, o siamo costretti a importare energia dall’estero?
Dobbiamo distinguere tra consumi energetici totali e consumi di energia elettrica. Per quanto riguarda i primi l’Italia è dipendente come tutti i maggiori paesi industrializzati, ed è una situazione non facilmente modificabile, tantomeno con il nucleare che come abbiamo già visto può garantire un apporto veramente limitato. Rispetto invece ai consumi elettrici, la risposta è diversa: l’Italia ha una potenza installata più che sufficiente a far fronte al proprio fabbisogno, oltre 100.000 Mw a fronte di una punta massima di 55.000. L’Italia importa energia elettrica, prevalentemente dalla Francia, nelle ore notturne (quando dunque il fabbisogno è meno della metà rispetto alla punta), solo perché la Francia, proprio a causa della rigidità delle centrali nucleari è costretta a vendere sottocosto. La scelta di importare circa 45 miliardi di Kilowattora (il 13% dei consumi nazionali) è dovuta soltanto a questo costo vantaggioso, non certo ad un deficit del sistema produttivo del nostro Paese, deficit che non esiste affatto.
Può il nucleare sostituire i combustibili fossili?
No, per le ragioni già dette. Costi, problemi di sicurezza e di gestione, aspetti ambientali, l’irrisolta questione delle scorie: tutti questi aspetti ci dicono che non può essere il nucleare la risposta alla necessità di ridurre la dipendenza dai combustibili fossili. Si aggiunga la scarsità della materia prima e si comprenderà fino in fondo l’assurdità di insistere sull’energia atomica.
Qual è il futuro dell’energia, soprattutto in Italia?
Restando al settore elettrico, oggi possiamo dire con ragionevole certezza che il futuro è nelle energie rinnovabili, per un periodo da mixare necessariamente con il gas naturale. Non che le rinnovabili siano immuni da costi ambientali, da valutare sempre caso per caso, ma questi costi sono comunque incomparabili con quelli del nucleare e delle fonti fossili. Venendo all’Italia, i dati del 2009 ci consegnano questo quadro: - centrali termiche 67,1% dei consumi totali - idroelettrico 15,8% - geotermico 1,6% - eolico 1,9% - solare 0,2% - importazioni 13,3% Il 67,1% del termoelettrico va così suddiviso al proprio interno: - gas naturale 65,1% - carbone 17,6% - petrolio 7,1% - altri combustibili (tra i quali le discusse "biomasse") 10,2% Alla luce di questi dati, e volendo essere sintetici, possiamo dire che la linea più saggia da seguire appare quella di spingere con forza sulle rinnovabili. Le basse percentuali di eolico e solare non devono ingannare, dato che l’impiego di queste fonti è solo all’inizio ed i costi si stanno riducendo vistosamente. Solo nel settore del solare fotovoltaico, quello di gran lunga più promettente, stiamo assistendo quest’anno ad un boom eccezionale, ancora difficile da quantificare, vista la miriade di mini-impianti in costruzione. Al tempo stesso, al fine di ridurre l’inquinamento atmosferico e di gas serra, sarebbe necessario rinunciare al carbone riconvertendo gli impianti a gas naturale, che appare la fonte tradizionale preferibile nella transizione verso le rinnovabili.

Paolo Calabrò

Filosofia e Noir

Madrelingua napoletano, vive a Caserta, dedicandosi alla famiglia, alla filosofia e, ovviamente, al noir. Gestisce il sito ufficiale di Maurice Bellet in italiano