sabato 9 ottobre 2010

Esistono "universali culturali"?

Esistono “universali culturali”, cioè regole, idee, valori validi in ogni tempo e in ogni luogo?

(lettera al CIRPIT di Antonella S.)
Nel libro Divinità (ed. EMI, 2007, collana “Parole delle fedi”) Panikkar ha scritto: «una cosa sembra emergere come universale culturale e costante storica: oltre al mondo e all’uomo c’è un terzo polo».
Ora, nel 1995 Panikkar aveva affermato recisamente che non esistono “universali culturali”: «ci sono invarianti umani – tutti gli uomini mangiano, tutti gli uomini ridono, tutti hanno un corpo, danzano, hanno una certa socialità, parlano; ma non ci sono universali culturali, cioè
non c’è nessun valore culturale che regga universalmente, e molto meno a priori. In ogni tempo c’è un certo mito dominante che permette alcuni universali culturali, ma questi variano con il tempo. [...] Il fatto che tutti gli uomini mangino non vuol dire che il mangiare abbia per gli uomini lo stesso senso e quindi produca gli stessi risultati. [...] L’invariante umano è il mito che io costantemente presuppongo anche per parlare di universali umani, quindi non posso manipolare gli invarianti umani perché, dal momento che parlo, sto già dentro una cultura» (“Politica e interculturalità”, in R. Panikkar ed al., Reinventare la politica, ed. l’Altrapagina, Città di Castello (PG) 1995, pp. 9-10).
E nel 1997 aveva spiegato, a proposito dei cosiddetti valori trans-culturali: «senza dubbio vi sono valori interculturali ma non ci sono valori trans-culturali. Per “valori interculturali” intendiamo valori che sono validi in diverse culture. Mentre è da intendersi come “trans-culturale” un valore che sta al di sopra di tutte o di alcune culture, senza appartenere specificamente a nessuna di esse. Ogni valore è legato inevitabilmente quantomeno a una cultura. Non c’è valore che esista in vacuo. Non ci sono, in realtà, “prospettive globali”. Veniamo continuamente rinviati ai nostri punti di vista particolari» (R. Panikkar, L’esperienza filosofica dell’India, ed. Cittadella, Assisi (PG) 2000, pp. 109-110).
Tuttavia, già nel 1979 aveva sostenuto, a proposito del cosmoteandrismo: «non conosco alcuna cultura in cui non siano presenti in una forma o nell’altra le triadi cielo-terra-inferi, passato-presente-futuro, Dei-uomini-Mondo, i pronomi io-tu-esso e perfino la triade intellettuale di sì, no e la loro fusione» (Id., Mito, fede ed ermeneutica, ed. Jaca Book, Milano 2000, pp. 148-149). Questa frase sembrerebbe affermare – anche se solo di fatto e non anche di diritto – l’esistenza di una realtà comune a tutte le culture, il cosmoteandrismo, appunto.
Sorgono due problemi. In primo luogo, le due proposizioni “non esistono universali culturali” e “il cosmoteandrismo è un universale culturale” sono reciprocamente incompatibili. In secondo luogo, la seconda è incompatibile con tutto il pensiero di Panikkar: inserendo nel discorso una prospettiva assoluta, oggettiva, al di sopra delle parti (un'idea trans-culturale, appunto), essa minerebbe alla base l’intera filosofia di Panikkar, rendendo impensabili la sua stessa nozione di pluralismo e tutta la critica alla scienza e alla cultura dominante, e smantellando l’impalcatura del dialogo paritario tra le religioni, cui Panikkar ha dedicato tutta la vita.
Non si può escludere l'ipotesi che il filosofo non abbia avuto la possibilità di rivedere il testo prima della pubblicazione, ipotesi non inverosimile, date le sue recenti condizioni di salute (tuttavia, il testo è stato ripreso senza alcuna modifica, nel volume VIII dell’Opera Omnia, Visione trinitaria e cosmotandrica, ed. Jaca Book, 2010: difficile quindi pensare ad un refuso): l’accoglimento di questa ipotesi, ovviamente, permetterebbe in linea di principio di sostenere qualunque tesi. Né la posizione del 1979 – mai ritrattata – può essere considerata semplicemente datata. Si potrebbe cercare di “smussare” i bordi di entrambe per ridurre lo stridore, facendo leva sul «sembra emergere» di p. 58, che riduce la seconda proposizione a una constatazione di fatto e non di diritto (e al contempo limita la prima al solo diritto, non escludendo che, di fatto, in un certo arco storico e limitatamente alla conoscenza disponibile, si possano dare idee che appaiono universali). Questa strada appare tanto più percorribile quanto più la si segue alla luce del senso complessivo dell’opera di Panikkar; non va però nascosto che – nonostante essa incontri il favore di chi scrive – si tratta pur sempre di un’operazione di limatura praticata a posteriori: a stretto rigore, l’espressione “universale culturale” è ambigua e sarebbe meglio non utilizzarla affatto.

(«Bollettino CIRPIT», n° 1, supplemento settembre 2010)

Paolo Calabrò

Filosofia e Noir

Madrelingua napoletano, vive a Caserta, dedicandosi alla famiglia, alla filosofia e, ovviamente, al noir. Gestisce il sito ufficiale di Maurice Bellet in italiano