giovedì 9 dicembre 2010

G. De Nicolo, Porcaccia, un vampiro!, ed. Mamma, 2010

Giusy De Nicolo è un’esordiente, con i limiti, le pecche, le imperfezioni di tutti gli esordienti. Lo dico subito, perché il resto del tempo vorrei invece dedicarlo a spiegare quanto mi sia piaciuto il suo romanzo Porcaccia, un vampiro! (ed. Mamma, 2010). Quanto mi abbia colpito. E quanto mi abbia divertito.
La storia è quella di uno studente universitario che si imbatte di notte, per le strade di Bari, in un vampiro. Il quale non lo uccide, ma gli impone il silenzio su quanto ha visto (l’assassinio di due malcapitati) dietro minaccia di atroci ritorsioni a lui e alla sua famiglia. E così la vita di Andrea, il protagonista, rimane condizionata da ciò che vorrebbe dire ma non può, per paura di far del male a quanti gli vogliono bene. In primo luogo a sua madre.
Proprio come gli accade per la sua inconfessata ma malcelata omosessualità. Di cui vorrebbe tanto parlare, ma che con gran fatica
tiene nascosta. Sforzo tanto grande, forse troppo, che lo porta a rimproverare la madre di essere “cieca e sorda” nei suoi confronti:
ancora mi meraviglia che una donna intelligente, sensibile e intuitiva quale sei tu non abbia mai visto, capito o almeno sospettato.
Al contrario, Ludovico (il vampiro) non solo lo comprende a prima vista, ma lo invita a rivelarsi, mettendolo faccia a faccia con la sferzante verità. Qui Andrea scopre ciò che aveva sempre saputo: cioè quanto sia difficile essere diversi in un mondo edificato a misura dei normali.
L’ambientazione urbana e attuale rende l’atmosfera inedita e lontana dallo stereotipo di genere. Ludovico è un vampiro sveglio anche di giorno, che ha sofferto molto a causa delle persecuzioni e della scienza bellica che vorrebbe a tutti i costi acciuffarlo per farne un’arma temibile. Un vampiro - quanto di più diverso dalla normalità ci si potrebbe immaginare - che ama, soffre, spera come tutti gli altri: nessuno è tanto simile agli altri quanto il “diverso”.
La storia - senza pretese ma ricca di entusiasmo - si snoda fluida e coinvolgente fra battute che strappano la risata (come quella di copertina: «lo udii uscire dalla stanza ed entrare in cucina. Aprì il frigo. Cazzo vuole dal mio frigo? Ammazzarmi a cotolettate?») e l’approfondimento del tema dell’accettazione della dura verità: non siamo mai ciò che vorremmo (e che vogliamo), bensì il frutto di tutto ciò che - all’esterno di noi - ha plasmato il nostro intimo. Il padre stupratore del figlio, certo. Ma in primo luogo la madre; che, nel caso del protagonista, invita il figlio a confidarsi, a mettere fuori tutto il suo turbamento: «piccolino, tu sei agitato. Dillo a mammina tua». Cui il figlio risponde: «lo sai che ci vorrebbe il porto d’armi per quel “mammina tua”?».
Questa di De Nicolo è un’opera prima. Che autorizza vivaci speranze.

(«il Recensore.com», 9 dicembre 2010)

Paolo Calabrò

Filosofia e Noir

Madrelingua napoletano, vive a Caserta, dedicandosi alla famiglia, alla filosofia e, ovviamente, al noir. Gestisce il sito ufficiale di Maurice Bellet in italiano