sabato 29 gennaio 2011

In che mondo viviamo/2

Il nostro è un mondo in cui l’Interpol (cioè l’organismo internazionale che coordina le operazioni della polizia di 188 Paesi) si preoccupa di correre dietro a Julian Assange (ne parlammo prima di Natale), reo non di genocidio, bensì di non aver usato il preservativo in un paio di rapporti sessuali consensuali tra adulti; mentre ci sarebbero cose un po’ più serie e preoccupanti, tra cui i più turpi traffici ai danni di singoli uomini e di interi popoli.
Parliamo della cosiddetta “tratta di esseri umani”, cioè il “commercio” di uomini, bambini, in particolare di donne, allo scopo di ridurli in schiavitù per sfruttarne il lavoro o per contrabbandarne gli organi da trapiantare a facoltosi richiedenti. Ma, soprattutto, allo scopo di alimentare la prostituzione: lo spiega Fabrizio Mastrofini nel suo bel reportage, ora in libreria, dal titolo Intrattabili. Lo schiavismo a fini sessuali (ed. EMI, 2010).

A S.M.C.V. (dicembre 2010) un albanese e un rumeno, avendo sequestrato i documenti di una giovanissima rumena, la costringevano a prostituirsi. Ma non è un caso isolato

Un traffico gigantesco gestito dalla criminalità organizzata transnazionale (all’interno del quale il ruolo di quella italiana, sorprendentemente, appare marginale), per il quale si parla - per la sola prostituzione e per la sola Italia - di 15.000 persone sfruttate e di un giro d’affari di 90 milioni di euro all’anno (oltre 1.000 persone coinvolte nell’ambito del solo litorale domitio, come rivelato da una recente indagine della Dda di Napoli).
Si può pensare che le prostitute vendano il proprio corpo perché più redditizio di un lavoro mal pagato; in certi casi è vero. Ma nella stragrande maggioranza dei casi, quelle che “fanno la vita” sono donne costrette a prostituirsi, ridotte in schiavitù dietro la minaccia di ritorsioni a sé e alla propria famiglia. Si tratta di persone che non possono rifiutare un cliente, né prendersi un giorno di riposo e che consegnano ai loro sfruttatori quasi tutto il loro guadagno. Persone che non possono recarsi in ospedale, perché quasi sempre private dei documenti dai loro aguzzini (altra arma di ricatto). Vittime della crudeltà che in natura solo l’animale uomo sa mettere in opera; e non - come si sente spesso ripetere - attentatrici alla famiglia e alla morale. È questo tipo di schiavismo che va combattuto, non l’oltraggio alla decenza: a nulla valgono i provvedimenti di certi sindaci e questori che fanno di tutto per rendere il fenomeno meno visibile (ma non meno presente). Queste donne non scelgono la prostituzione, vi sono costrette.
Il magistrato Giusto Sciacchitano, sostituto procuratore presso la Direzione Nazionale Antimafia, parla nel libro del traffico di esseri umani come del «lato oscuro della globalizzazione»: nel nostro mondo, in cui tutto può essere comprato e venduto secondo le leggi della domanda e dell’offerta, sembra illegale (ma non del tutto irrazionale, e certo non improficuo per i criminali) comprare e vendere uomini e donne, anche in fasce. Se non corriamo subito ai ripari, fra non molto ciò sarà possibile alla luce del sole e al riparo di leggi comunitarie: si sa che già oggi, in molti Paesi del sud del mondo, è possibile acquistare e vendere legalmente organi da trapiantare (molti europei scelgono di operarsi in centri di eccellenza dell’America latina, in cui lavorano staff medici europei, e in cui indigeni “scelgono” di vendere i propri organi). Siamo di fronte a un esempio tragicamente eloquente di quanto il mercato - con le sue esigenze forse matematicamente razionali, ma non di meno disumane - può creare un vero e proprio disastro sociale. Non è proprio la “felicità e ricchezza per tutti” che costituiva lo slogan e il miraggio del capitalismo. Se la politica non si reimpossessa al più presto del suo naturale ruolo di timoniere dell’economia, ponendo un limite al delirio di “apertura del commercio”, ben presto tutti noi, i nostri amici, i nostri figli, diventeremo trattabili.
Alle prossime elezioni voglio poter votare per qualcuno che si interessi di questi temi, e non di sgravi fiscali. Perché questo è il mondo in cui viviamo. E io vorrei che fosse diverso. Un po’. Abbastanza. Anzi, parecchio.

(«Il Caffè», 28 gennaio 2011)

Paolo Calabrò

Filosofia e Noir

Madrelingua napoletano, vive a Caserta, dedicandosi alla famiglia, alla filosofia e, ovviamente, al noir. Gestisce il sito ufficiale di Maurice Bellet in italiano