martedì 1 febbraio 2011

Bertone il carbonaro. Intervista a don Paolo Farinella

Don Paolo Farinella, biblista, scrittore e saggista, è parroco nel centro storico di Genova presso la Parrocchia di San Torpete. Dottore in Teologia Biblica e in Scienze Bibliche e Archeologia, specializzato nella conoscenza delle lingue bibliche (ebraico, aramaico, greco), collabora con la rivista "Micromega". Con l’editore Gabrielli ha pubblicato: Crocifisso tra potere e grazia (2006), Ritorno all'antica messa (2007) e Bibbia. Parole, segreti, misteri (2008).

Lei accusa i vescovi italiani di essere “complici di Berlusconi e del berlusconismo”. Cosa intende?
Intanto io non li accuso. Semplicemente rilevo, dalle loro dichiarazioni, che si sono appiattiti completamente sulle posizioni del governo e di Berlusconi, cosa inconcepibile in un episcopato che voglia
anche solo minimamente prestare attenzione ai criteri della morale cristiana, della dottrina sociale della Chiesa, della stessa enciclica Caritas in veritate (che tanto pubblicizzano e citano), ma principalmente - com’è ovvio - all’annuncio del Vangelo. Questo governo, cosa che ritengo evidente ai più, è un governo immorale, non tanto per la condotta personale del suo capo, quanto per le scelte che compie, molte delle quali in conflitto con la morale e con il diritto internazionale: basti pensare alla legge sulla sicurezza, che è contraria ad ogni convenzione internazionale e allo stesso concetto di persona. Non essendo nato ieri io rilevo - di fronte a una posizione episcopale tanto appiattita su quella del governo - che una simile “intesa” debba basarsi su una reciproca convenienza.

Intende una convenienza economica?
Me lo spiego con un interesse generale. C’è evidentemente un accordo in virtù del quale i vescovi tacciono di tutto questo, e il governo in cambio promette posizioni contro l’aborto, il divorzio, le coppie di fatto, il testamento biologico, l’eutanasia. Ma c’è una convenienza anche schiettamente economica. Le faccio un esempio: nella penultima finanziaria il governo ha stanziato all’ultimo momento la somma di 150 milioni a favore delle scuole private (che per l’85% sono cattoliche); ciò dopo la richiesta esplicita della CEI. Il governo si è comportato in quell’occasione in maniera diabolica: ha infatti affermato di aver attinto quella cifra dai proventi dello “scudo fiscale”. Ora va ricordato che lo scudo fiscale è quell’operazione che ha favorito la criminalità organizzata e gli evasori fiscali permettendo loro di pagare il 5% sui capitali a fronte del 27% pagato regolarmente dalle persone oneste. Ci sarebbe da discutere sulla moralità dell’azione politica; ma non c’è proprio nulla da discutere sull’inaccettabilità di quei soldi da parte della Chiesa. Soldi che provengono dal riciclaggio, dalla droga, dalla prostituzione, dal falso in bilancio. Come fa un vescovo a pretendere di educare i ragazzi, finanziando le proprie scuole con questo denaro? In quel frangente scrissi una lettera al cardinal Bagnasco supplicandolo di andare in televisione a dire al governo: “noi non vogliamo questi soldi, perché sono sporchi. Preferiamo mangiare pane e cipolla tutto l’anno anziché nutrirci con questi soldi che provengono dalla malvagità”. Avevo chiesto in quell’occasione un gesto di profezia. Invece i finanziamenti sono stati accettati. La perversione sta qui. In quel caso il vescovo era obbligato, a mio avviso, a rifiutarli pubblicamente.
Ha scritto su questi temi due lettere, ai cardinali Bertone e Bagnasco.
Ne ho scritte ben più di due. Come sono solito fare in quasi tutti i casi, si tratta di lettere che spedisco dapprima in privato, chiedendo una risposta; quando la risposta non giunge, dopo un certo tempo, le pubblico. In alcuni casi - come in quello del pranzo notturno del “carbonaro” Bertone a casa di Vespa - l’ho pubblicata immediatamente perché mi premeva prendere posizione subito. Così nel caso del cardinal Ruini che invita Berlusconi e Letta per decidere sulle elezioni della Regione Lazio (onde non far eleggere la Bonino): è forse questo il ruolo di un vescovo? Da chi può aver ricevuto il mandato di discutere delle elezioni della Regione Lazio? È forse scritto nel Vangelo, nella morale, in teologia, che un cardinale debba occuparsi di candidature? Sono queste le scelte che allontanano la gente dalla Chiesa; perché questi cardinali, con il loro comportamento, si pongono da sé fuori dalla Chiesa.
Ma la diplomazia è una parte ineliminabile di una istituzione statale come il Vaticano, che non può non avere rapporti con altri Stati sovrani.
Si tratta di un equivoco; o, meglio, di una contraddizione. In Vaticano coesistono oggi due realtà. La prima è che il Vaticano è uno Stato estero, e il capo di questo Stato ha per me la stessa importanza di un qualunque capo di Stato, tanto per dire, dell’Africa: cioè io - come cittadino italiano - non gli devo assolutamente nulla. La seconda realtà è che il Papa è il vescovo di Roma, e in quanto tale ha un’incidenza sulla mia persona in quanto autorità massima della Chiesa che io riconosco senza meno. Ma purtroppo questa funzione sacra viene offuscata dall’altra: quando il Papa si muove, si muovono le polizie di tutto il mondo; lo ricevono gli eserciti facendo il saluto militare. Come fa il rappresentante di Cristo ad accettare l’accoglienza da parte di schiere di uomini armati? C’è una contraddizione in questo. O il Papa separa le due funzioni (com’era fino a Pio IX, che affidava la gestione dello Stato a un governo specificamente nominato), o sarà costretto ad accettare dei compromessi. Esprimo qui una teologia ecclesiastica tradizionalissima. Affermò la stessa cosa Giovanni XXIII in apertura del Concilio Vaticano II: il Papa non può e non deve dedicarsi ai rapporti diplomatici; il Papa deve concentrarsi unicamente sulla sua missione di pastore. Nessun prete (tanto meno se cardinale) può fare il diplomatico: bisogna scegliere tra le due vocazioni.
A proposito di diplomazia: sull’affaire Lula/Battisti?
All’estero siamo lo zimbello della stampa: il Brasile è solo l’ultimo esempio di quanto poco l’Italia valga agli occhi del mondo. Il nostro Presidente del consiglio va in Brasile a stringere accordi commerciali, di sera va in discoteca a caccia di donnine, non fa cenno alla questione di Battisti, ne approfitta en passant per sparlare della giustizia italiana... e i brasiliani finiscono per credergli! Ecco che poi rifiutano l’estradizione. Possibile che su fatti così eclatanti i vescovi italiani non abbiano niente da dire? Stanno mettendo in atto una strategia che li porterà sempre più alla perdizione, perché stanno alimentando una scissione nella Chiesa della quale non si rendono conto.
Cioè?
Assistiamo allo scisma di una gerarchia cattolica che si è separata dal suo popolo. È vero che molti cattolici votano Berlusconi (anche perché condizionati da un apparato mediatico sbilanciato a favore del capo-proprietario del governo); ma la verità è che Berlusconi è sostenuto dai poteri forti all’interno della Chiesa, come l’Opus Dei, come i Legionari di Cristo, tutti fascisti! Come Comunione e Liberazione, che conduce i propri affari all’ombra di questo governo. Ci rendiamo conto di quanto è grave la situazione, se il Papa si trova costretto a dover fare un motu proprio per regolare il riciclaggio di denaro da parte dello IOR (che è tra l’altro da sessant’anni al centro di scandali finanziari di ogni genere)? È forse concepibile questo all’interno della Chiesa cattolica? Su questo i vescovi non hanno nulla da dire? E di fronte a tutto questo, dovrei forse star zitto anch’io? Non posso stare zitto, perché sono obbligato a rispondere alla mia coscienza. Se Bertone può andare di notte a casa di Vespa ad incontrarsi con mezzo governo, con Geronzi, Draghi, Casini, al fine di convincere Casini ad entrare nel governo... mi domando chi gli abbia dato questo mandato, che lo pone al di fuori della morale cattolica. A questo punto, non possono dire a me di non occuparmi di politica, quando sono loro i primi a farlo; e nemmeno posso tacere, perché verrà il giorno in cui si accuseranno i cattolici di aver taciuto in questo frangente, e io non voglio trovarmi allora dalla parte del torto.
Siamo dunque di fronte a una parte del clero apertamente schierata a favore del potere politico.
Non solo: io direi addirittura solerte nei confronti di Berlusconi. Se - di fronte a Berlusconi che bestemmia in pubblico - accorre subito un vescovo a “contestualizzare” l’episodio, credo che siamo davvero fuori dalla grazia di Dio: assistiamo a dei vescovi che fanno i chierichetti del capo del governo.
Crede che la gerarchia cattolica sia compatta in questo atteggiamento?
Non si tratta di compattezza. Il punto è che i dissenzienti vengono subito bacchettati, ripresi, richiamati all’ordine. E poiché il dramma della Chiesa di oggi - contro cui si è scagliato anche il Papa - è il carrierismo, nessuno ha voglia di rendersi inviso ai cardinali. Del resto i vescovi vengono nominati (a parte le eccezioni come ad esempio il card. Martini a Milano, nel 1982) da loro: e vengono preferiti sempre personaggi obbedienti e proni.
Lei accusa la Chiesa di parzialità: di aver ad esempio spesso bacchettato Prodi, ma di essere indulgente con Berlusconi. Sta forse dicendo che la morale cattolica è una questione di destra e sinistra?
Non è una questione di destra o di sinistra; ne stanno piuttosto facendo una questione di convenienza. Ricordiamo che durante il governo Prodi, nel 1995, ci fu il referendum sulla legge 40. Prodi - siccome la CEI si impegnò contro il raggiungimento del quorum - disse che avrebbe votato come un “cattolico adulto”, e che avrebbe scelto secondo coscienza. Gliela fecero pagare; evidentemente, nella Chiesa cattolica bisogna rimanere degli eterni bambini (o degli adulti rincretiniti).
Accusa ancora Berlusconi di fare un uso sistematico della menzogna come strumento politico; al contempo accusa i vescovi di aver “mutato la verità in servilismo”. Quale dovrebbe essere il rapporto corretto tra la Chiesa e la verità? Con quali conseguenze sul piano politico?
Che Berlusconi menta sistematicamente, ebbene, credo sia una cosa evidente. Con l’appoggio dei vescovi. Un esempio semplice: quando Berlusconi ha negato l’esistenza della crisi economica (e continua a negarla), nessun vescovo ha gridato allo scandalo per la colossale menzogna pronunciata; Bagnasco ha addirittura detto, pochissimi giorni fa, nel suo saluto di Natale, che non bisogna fomentare la paura e il pessimismo (sono le stesse parole di Berlusconi). Nello stesso momento, nella nostra parrocchia, ci occupiamo di aiutare con dei microprestiti quelle famiglie che sono allo stremo e veramente non sanno più dove sbattare la testa. Io dico che siamo rimasti i soli a fare davvero politica: cioè a farci carico di un problema e a portarlo avanti fino alla soluzione.
Negli ultimi giorni una cittadina della provincia di Caserta ha conferito la cittadinanza onoraria a Giulio Andreotti, giudicato in Cassazione reo di collusione mafiosa. Alla notizia, il vescovo ha affermato: «mai scelta è stata opportuna e significativa». Non crede che il problema del rapporto tra Chiesa e politica sia più ampio e più antico di quello attuale?
È chiaro che il problema di questo rapporto malato tra Chiesa e politica va ben al di là del solo governo Berlusconi, Se pensiamo che in Sicilia, fino a qualche decennio fa, il card. Ruffini di Palermo diceva che la mafia non esisteva... né troviamo condanne recise e ufficiali, da parte della Chiesa, della mafia, della ‘ndrangheta, della camorra.
Forse fa eccezione la dichiarazione di mons. Crociata dell’anno scorso.
Ma si tratta sempre di condanne generiche. Ad esempio il card. Bagnasco si lamenta di una “caduta di stile personale e collettivo, specialmente nelle persone che hanno responsabilità”. Mi aspetterei da un vescovo una presa di posizione ben più netta, con tanto di nomi e cognomi, che possa giungere davvero fino alla gente in maniera inequivocabile. Altrimenti la gente finisce per pensare che ci sia accordo tra i vescovi e Berlusconi. Come infatti è.
In ultima istanza, cosa potrebbe (e dovrebbe) fare la Chiesa nei confronti di questo governo?
I vescovi dovrebbero essere la lampada accesa sul monte, dovrebbero richiamare ai doveri, alle responsabilità, all’etica; non hanno detto una sola parola su questi temi. Verranno accusati dalla storia come complici.
Ci dia infine una parola di speranza.
La speranza sta nell’indignarsi, nel riuscire a non adeguarsi a questo stile, nel cercare di seguire la propria coscienza e non il gregge. Nel non lasciarsi traviare da questi balordi. Si può fare diversamente dagli altri. Ad esempio, io non mi avvalgo della legge che favorisce le parrocchie permettendo di non pagare l’ICI sui locali annessi. Io pago l’ICI per dei locali che abbiamo in affitto, e che non hanno a che fare con il culto, come se si trattasse di abitazioni private. Si può essere diversi: non si tratta di eroismo, ma di testimonianza e di coerenza. Cose indispensabili in un tempo di decadenza come il nostro, nel quale si deve per forza andare - anche proprio malgrado - controcorrente.

(«l'Altrapagina», gennaio 2011)

Paolo Calabrò

Filosofia e Noir

Madrelingua napoletano, vive a Caserta, dedicandosi alla famiglia, alla filosofia e, ovviamente, al noir. Gestisce il sito ufficiale di Maurice Bellet in italiano