sabato 5 febbraio 2011

La guerra è guerra/4

Chi ha voluto e vuole questa guerra afghana che ci costa quasi 2 milioni di euro al giorno? Chi decide di spendere oltre 600 milioni di euro in un anno per mantenere in Afghanistan 3.300 soldati che diventeranno ben presto 4.000? Quante scuole e ospedali si potrebbero costruire? Chi sono i fabbricanti italiani di morte e di mutilazioni che vendono le armi per fare questa guerra? Chi sono gli ex generali italiani che sono ai vertici di queste industrie? Che pressioni fanno le industrie militari sul Parlamento per ottenere commesse di armi e di sistemi d’arma? Quanto lucrano su queste guerre la Finmeccanica, l’Iveco-Fiat, la Oto Melara, l’Alenia Aeronautica e le banche che le finanziano? E come fanno tante associazioni cattoliche ad accettare da queste industrie e da queste banche elargizioni e benefici? Può una nazione come l’Italia [...] impegnare in armamenti e sistemi d’arma decine di miliardi di euro? [...] Chi sottoscrive questo appello vuole soltanto che in Italia si risponda a queste domande.
Chi sottoscrive questo appello è mons. Raffaele Nogaro, vescovo emerito di Caserta; è padre Alex Zanotelli, comboniano di Napoli; sono un’altra ventina di religiosi campani e oltre 1.500 persone sul sito internet www.ildialogo.org. Oggi, su questo giornale, lo sottoscrivo anch’io.
Dal canto suo mons. Vincenzo Pelci, ordinario militare, ha declamato - in occasione del funerale dei 4 alpini caduti lo scorso autunno - un’omelia di tutt’altro tenore. Per lui i militari morti sarebbero
profeti del bene comune, decisi a pagare di persona per ciò in cui hanno creduto e per cui hanno vissuto a servizio dei deboli e degli emarginati». Perciò tutti gli italiani dovrebbero essere compatti nel sostenere i combattenti impegnati all’estero, senza «affidarsi a giochi di sensibilità variabili che indeboliscono la tenuta di un impegno così delicato per la sicurezza dei popoli.
Sulla stessa linea il quotidiano dei vescovi, “Avvenire”, nonché la presidenza della CEI, per la quale gli alpini svolgevano il loro lavoro «al servizio della pace».
Incredibile. Siamo di fronte a una Chiesa schizofrenica, incapace di individuare una unità d’indirizzo (o almeno una omogeneità di massima) su un tema come quello dello sterminio di migliaia di persone (di cui la maggior parte - si sa, ma giova ricordarlo - vittime civili). Una Chiesa, tuttavia, asimmetricamente schizofrenica: perché mentre una piccola parte di essa grida nel deserto lo scandalo del tradimento del Vangelo che la guerra costituisce, l’altra affida le sue considerazioni (basate sul misconoscimento della realtà dei fatti, sulla negazione degli interessi economici sottesi all’aggressione, sulla retorica dei buoni e dei cattivi) ai quotidiani e alle TV nazionali.
La Chiesa di quelli dediti a contestualizzare le barzellette dei potenti, a differenziare l’omicidio proibito dell’aborto da quello ammesso (e cum laude) in guerra. Da un lato. Dall’altro, la Chiesa degli uomini di buona volontà, costruttori di pace, amanti del prossimo come di se stessi. I primi hanno sempre ragione: di fatto, si agisce come vogliono loro. I secondi, hanno sempre torto: quando uno grida nel deserto, nessuno lo ascolta e nessuno gli risponde. Oggi anche noi ci sediamo, come diceva Brecht, “dalla parte del torto, perché tutti gli altri posti erano occupati”.

(«Il Caffè», 4 febbraio 2011)

Paolo Calabrò

Filosofia e Noir

Madrelingua napoletano, vive a Caserta, dedicandosi alla famiglia, alla filosofia e, ovviamente, al noir. Gestisce il sito ufficiale di Maurice Bellet in italiano