domenica 20 febbraio 2011

La sinistra di Edgar Morin. Intervista a Sergio Manghi

Edgar Morin, filosofo francese molto noto in ambito internazionale soprattutto per i suoi studi sulla complessità e il metodo, si cimenta nuovamente – nel suo ultimo libro, La mia sinistra (ed. Erickson, 2011) – con i temi della filosofia politica, che hanno accompagnato la sua riflessione fin dai primi tempi. Ne parliamo con il prof. Sergio Manghi, docente dell’Università di Parma ed esperto del pensiero di Morin.

Edgar Morin filosofo della politica. A cosa può essere accostato il pensiero politico di Morin, e in cosa è del tutto originale?
Può essere accostato, mi verrebbe da dire, a un cocktail di filoni di pensiero politico, da quello liberale-libertario, a quello social-riformistico, e quello comunista-fraternitario, tutti valorizzati nelle loro istanze di fondo attraverso una chiave unificatrice che definirei “ecologica”. Non nel senso
più comune, “ambientalistico” (o non solo), ma nel senso – questo l’aspetto decisamente originale – di una teoria “ecologica” dell’azione (spesso assente nello stesso ambientalismo). Si tratta di vedere l’azione politica come sempre altamente “complessa”, dunque sempre ambivalente nei suoi effetti. Mai produttrice, linearmente, degli effetti che si propone. Sempre esposta al rischio di produrre guasti con la migliore delle intenzioni. Sempre bisognosa di autocritica e intercritica. Capace di stare nell’incertezza e di credere nell’improbabile. Di scommettere, scrive Morin, sull’improbabile.

Come si inserisce questo libro nell’alveo dei due precedenti di Morin, anch’essi di filosofia politica: Il gioco della verità e dell’errore e Pro e contro Marx?
Il secondo era la proposta di ritrovare in Marx, anche contro le sue elaborazioni più scientiste ed economiciste, quella matrice generativa che si trova nelle sua ispirazione di fondo, nell’umanesimo, potremmo dire, dei suoi manoscritti giovanili, nella capacità di vedere nell’essere umano il più “potenziale” degli esseri viventi. Aperto alle metamorfosi, incluse quelle che appena prima di accadere appaiono le più altamente improbabili, per ricollegarci alla risposta precedente. Quanto al Gioco della verità e dell’errore, io credo che quella che sopra ho chiamato ecologia dell’azione trovi proprio in quello scritto del 1981 (riedito anch’esso nel 2009 da Erickson sulla scorta della riedizione francese del 2004, N.d.R.) la sua formulazione più lucida e sistematica. La mia sinistra è una raccolta di scritti degli ultimi vent’anni, e ciascuno di questi scritti (così come di molti altri) ha nelle sue premesse di fondo quella riflessione del 1981. Scritta di getto, l’anno successivo al suo secondo volume sulla complessità (“ecologica”) del vivente, le 500 pagine di La vita della vita.

Morin si definisce “un gauchista di destra”. Cosa vuol dire?
L’espressione originale è “droitiste de gauche”, in verità, intraducibile in italiano: “destrista” è impronunciabile, “destrode” squalificante. Dunque: di sinistra, ma all’interno della sinistra, “droitiste”. Nel senso, ovviamente, che in Francia e in gran parte del’Europa si dà alla parola “destra”, più legata alla polarità “liberté” che alle altre due della “triade francese”. In Italia questa destra quasi non c’è, come sappiamo... C’è da sperare che possa trovare incoraggiamento nella formazione di “Futuro e libertà”, la cui Fondazione di riferimento lavora da tempo in questa direzione.

Quale contributo può dare La mia sinistra - la cui Prefazione è firmata da Nichi Vendola - al dibattito politico italiano?
Chi può dirlo. Possiamo sperare che induca molta sinistra a uscire dal narcisismo delle buone intenzioni (dunque non “ecologico”) in cui tante sue componenti si avvitano, nel nostro paese, e che si aprano al mondo più grande, misteriosissimo, in vorticosa trasformazione: “avventura scononosciuta”, scrive Morin. Occorrerebbe lasciare al Novecento il mito “salvifico” della sinistra, come scrive Morin, sulla cui base ciascuna sua scheggia si sente depositaria della Verità unica, prendere atto che ce ne sono e ce ne saranno diverse, ciascuna parziale, nessuna “giusta”, e disporsi a federarle. Non solo: immergendosi al contempo dentro una storia di liberazioni e di speranze più grande di quella racchiusa nella parola “sinistra” e nelle sue cantine. Vendola? Per molti aspetti, sta portando nel campo della politica un linguaggio diverso, capace di andare al di là dei narcisismi che dicevo. Quanto al di là. Si vedrà. Vedremo se farà altri passi in questa direzione, più coraggiosi. Sinceramente, non so se si possa dire lo stesso di tanti “vendoliani”, che appaiono più interessati a farsi belli attraverso un leader finalmente “carismatico” e “mediatico”, che a rimboccarsi le maniche per migliorare la quotidianità di un paese imbarbarito, in macerie. Dove il terribile non è che rischia di accadere: è già accaduto, da un bel po’, e tutti, nessuno escluso, ne siamo “ecologicamente” co-responsabili.

In che modo è possibile “rigenerare la speranza”, come auspica il sottotitolo?
A mio parere Morin contribuisce ad affrontare questa domanda, per dirla con una metafora, aiutandoci a vedere nel nostro tempo, nella società-mondo che sta nascendo, un neonato – appunto. Non un vecchio acciaccato, in declino, come a noi europei viene di pensare. Non un tempo di fine, o non solo. Ma un tempo di inizio. Necessariamente smarrito, come ogni neonato. E molto bisognoso di cura, come ogni neonato. E insieme, come ogni neonato, carico di potenzialità.

(«Filosofia.it», febbraio 2011)

Paolo Calabrò

Filosofia e Noir

Madrelingua napoletano, vive a Caserta, dedicandosi alla famiglia, alla filosofia e, ovviamente, al noir. Gestisce il sito ufficiale di Maurice Bellet in italiano