È appena uscita (marzo 2011) la quinta pubblicazione nell’ambito dell’Opera Omnia del filosofo catalano Raimon Panikkar, dal titolo Religione e Religioni (ed. Jaca Book, pp. 490, euro 58). Volume che racchiude i temi da sempre a cuore al pensatore di Tavertet: le religioni come luogo della verità ultima, il dialogo, l’interculturalità, la pace. E che fa luce su molte delle difficoltà, delle sottigliezze, delle sfumature che espongono questi argomenti al vento del fraintendimento o peggio ancora della banalizzazione.
A cominciare dalle pretese della filosofia comparata della religione. Il cui pur nobile intento (quello di mettere a confronto le religioni onde evidenziarne identità e differenze e dedurne, alla fine,
una “essenza” della religione in generale) è destinato a rimanere deluso: le religioni sono tutti “casi unici”, non esiste nessun terreno comune “inter-religioso” (né tantomeno “trans-religioso”, al di sopra cioè di ogni singola religione). La religione non è la categoria generale che comprende in sé le religioni come casi particolari: le religioni possono conoscersi reciprocamente solo nel dialogo interreligioso, non nell’analisi comparata.
In realtà la fragilità della comparazione sta ancora più a monte, in quelle che Panikkar ha denominato equivalenze omeomorfiche. Gli equivalenti omeomorfici sono simboli i quali - anche se differenti o perfino opposti - svolgono nei rispettivi sistemi di riferimento la medesima funzione. È il caso classico della pienezza cristiana e del vuoto buddhista: Dio è il dio della pienezza (motivo per cui i cristiani vedono nel nirvana buddhista nient’altro che una forma di nichilismo); viceversa, il vuoto buddhista è la fonte originaria che trascende tutte le cose, compresa ogni apparenza sensibile e mentale (per cui i buddhisti vedono nel Dio cristiano nient’altro che un idolo, o un concetto, un prodotto antropomorfico della mente).
Siamo agli inizi del dialogo tra le religioni. Abbiamo appena cominciato a conoscerle, anche perché - sottolinea il filosofo - a ben vedere non siamo neanche ancora d’accordo su cosa debba intendersi per “religione”. E qui lancia la sua proposta: per religione deve intendersi ogni via che conduca gli uomini verso la loro pienezza, comunque la si interpreti e comunque si concepisca questo cammino. In questo senso, “le religioni non posseggono il monopolio della religione”, scrive Panikkar, e non è possibile escludere dal novero delle religioni tutte le vie di realizzazione umana “non ufficiali” (tra cui il marxismo e l’umanismo; ma non va dimenticato che fino a pochissimo tempo fa anche il buddhismo veniva dichiarato in Occidente nient’altro che una “filosofia”, in senso diminutivo).
Di questo si parla, e di tanto altro, in Religione e religioni: della religione in rapporto all’Europa, delle religioni come salvezza e come scandalo, della crisi del concetto di religione e della religione del futuro. Saggi che vanno dal 1964 ai giorni nostri, molti dei quali mai tradotti prima in italiano. Un’opera importante e ponderosa per scoprire, approfondire, meditare il nucleo del pensiero di Raion Panikkar: la filosofia della religione.
(«l'Altrapagina», aprile 2011)
domenica 8 maggio 2011
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