mercoledì 22 giugno 2011

Dilemma Italia sobrietà o affarismo? Intervista a Pippo Civati

Pippo Civati è nato a Monza nel 1975. Laureato in filosofia e dottore di ricerca, ha studiato a Milano, Firenze e Barcellona. Ha scritto e curato saggi e articoli dedicati al pensiero del Novecento e della prima età moderna. Dal 2005 è consigliere regionale della Lombardia. Il suo blog (www.civati.it) è tra i più seguiti d’Italia. Tra i suoi libri: Nostalgia del futuro. La sinistra e il PD da oggi in poi, L’amore ai tempi di Facebook e il romanzo Il segreto di Alex. Nel 2009 ha pubblicato il volume Regione straniera. Viaggio nell’ordinario razzismo padano (ed. Melampo, con la prefazione di Nando Dalla Chiesa).

Come legge i rapporti tra politica e moralità nell’Italia del 2011?
Si tratta di un tema ancora molto aperto, direi anzi che uno dei motivi della disaffezione verso la politca è proprio l’allontanarsi delle due cose, dal venir meno di un atteggiamento di sobrietà e correttezza verso un atteggiamento tipo della cosiddetta “politica del palazzo”. È uno dei temi centrali di questo momento politico, quello di riacquistare la fiducia della gente riportando la classe politica verso la testimonianza diretta, verso uno stile, un modo di fare, di gestire i rapporti di potere, riconoscibile e apprezzabile, che si concretizza anche in atteggiamenti concreti come ad esempio il non fermarsi troppo a lungo in una certa posizione di potere, fino ad evitare atteggiamenti più spiacevoli che sconfinino addirittura in comportamenti da codice penale.
Quali sono i rapporti tra politica e moralità in uno Stato laico? La politica influenza la moralità e viceversa? In che modo?
Secondo me la poltica e la moralità in uno Stato laico vanno insieme, starei attento a parlarne nei termini machiavellici di una separazione radicale, che potrebbe venir fraintesa come è stato spesso. La moralità può assumere in politica i contorni della legalità e di un costume basato sulla serietà; sono a mio avviso 2 cose che vanno tenute insieme e che anzi creano problemi quando vengono separate.
È un caso che abbia usato all’inizio il termine “sobrietà”, caro a Berlinguer?
Non è affatto un caso, anzi io credo che dobbiamo decidere se sceglierci una classe politica che abbia un progetto collettivo e una passione per l’azione comune o piuttosto una classe politica che si immagina come gruppo che non pensa ad altro che al proprio mantenimento e alla propria perpetuazione tramite dinamiche da cricca o da comitato d’affari. È uno dei tanti dilemmi che questo Paese ha di fronte. In questio anni ci siamo purtroppo trovati più spesso di fronte al secondo che al primo, quindi la sobrietà è un valore da recuperare al più presto.
In uno Stato laico, politica e moralità non dovrebbero rimanere separate?
No, nient’affatto, soprattutto se intendiamo la moralità nel senso della legalità, del rispetto delle regole condivise dello stato democratico, della laicità, della serietà e coerenza verso il proprio ruolo nelle istituzioni.
È possibile coniugare politica e morale senza arrivare all’eccesso, ad esempio, delle teocrazie?
Noi ovviamente non stianmo parlando di una morale in termini assoluti, metafisici o religiosi. La moralità di uno Stato laico è come dicevamo parte integrante dell’agire quotidiano all’interno delle istituzioni e degli spazi pubblici. Credo che l’aggettivo “laico” possa definire bene questo tipo di moralità.
Il cosiddetto “berlusconismo” ha una sua moralità specifica?
Certo, anche se più che di moralità parlerei di una logica interna di funzionamento, ben precisa, una consequenzialità, un modo di procedere che ha portato alla realizzazione di un sistema di potere. Di fatto è questo, nient’altro.
I risultati delle recenti amministrative hanno forse a che fare anche con la questione morale?
Secondo me sì, più che altro sull’aspetto che sottolineavamo ora: i cittadini rifuggono da sistemi di potere che in questi ultimi tempi si sono mostrati troppo rigidi, è successo a Milano, di sicuro. Si è pagato il conto di tutti quegli atteggiamenti sprezzanti tenuti troppo a lungo nei confronti del “resto del mondo” da parte di certi politici che si sentono privilegiati o al di sopra delle parti.
Si tratta di un fenomeno solo italiano?
La politica di questi tempi non sembra funzionare un granché, spesso è sopraffatta da vicende economiche o si tiene ristretta alle questioni di un piccolo gruppo di dirigenti di partito, rispetto a uno spazio pubblico più grande in cui è possibile valutare modelli diversi. Credo si tratti in ogni caso di un fenomeno internazionale, globale.
Che cosa cambia dopo questo voto dal punto di vista della moralità?
È emersa evidentemente una volontà di partecipazione civile diffusa, che fa pensare a un desiderio non effimero di riappropriazione della cosa pubblica. Una voglia di trasparenza, di controllo di quello che fanno i governanti, che fa sperare che qualcosa in questo paese possa davvero cambiare: soprattutto, una voglia di riappropriarsi del proprio spazio di gestione democratica delle cose, potere che in genere i cittadini delegano un po’ pigramente ai governanti subito dopo le elezioni.
Possiamo dire che la partecipazione è in questo senso più importante della moralità?
La partecipazione crea le condizioni perché tutti si attengano alle regole, perché tutti rendano conto del loro operato, perché tutti siano più precisi e responsabili in ciò che fanno. Non vedo contraddizione fra le due cose né rivalità; vedo anzi una certa sinergia.
Potremmo dunque dire che l’emergere di questa poderosa partecipazione popolare sia un fenomeno più importante del cosiddetto “tramonto del berlusconismo”, di cui pure - e per l’ennesima volta - si è parlato in questa circostanza.
Io direi che a ben vedere le due cose coincidono: la voglia di partecipazione e di riappropriazione politica va di pari passo con l’esser stufi di un sistema partitocratico autoreferenziale che mena vanto del suo disinteresse per i reali problemi del Paese. È al contempo una sconfitta di questa politica malata che da troppo tempo intride l’Italia, e la vittoria di un desiderio di politica genuina e autentica che si costruisce a partire dalle esigenze dei singoli e dei gruppi, anche al di là dei partiti.
Il nostro parlamento è pieno di pregiudicati eletti grazie a una legge elettorale apertamente immorale. Riscriverla è forse un nuovo punto di partenza?
Certo, assolutamete. E finché ciò non sarà stato fatto, non resta che continuare sulla strada delle primarie e della scelta dei candidati da parte dei cittadini. Segnale che il PD sta lanciando con forza già da diverso tempo e che speriamo possa venir accolto come prassi anche dagli altri partiti.
Una volta la regola fondamentale della moralità era “dare il buon esempio”, soprattutto in politica. Da un po’ di tempo le cose sembrano cambiate.
È vero. Eppure penso che Pisapia - per fare un nome - sia un buon esempio di personalità pubblica. Lo vedremo alla prova del governo, ma credo intanto che il significativo successo ottenuto a Milano sia anche indice del consenso riscosso dalla sua personale credibilità.
Il peggior incubo di ogni politico italiano è oggi il cosiddetto “dossieraggio”. Pare che non ci sia più nessuno con la coscienza a posto.
Sì, ma il dossieraggio è anche un modo per confondere e per far sembrare tutti uguali. Perché non si deve trascurare che un conto è informare su questioni di vera rilevanza pubblica, un altro conto è attaccare personalmente qualcuno per screditarlo politicamente.
Quale ruolo dovrebbero avere i partiti nel rinnovamento morale della politica?
I partiti hanno un ruolo straordinario nel momento in cui diventano partiti degli elettori, aperti, e credibili in quanto rispettosi delle regole e in grado di testimoniare uno stile virtuoso. Credo che il lavoro da fare sia ancora tanto, soprattutto al sud - dove le dinamiche del voto sono state spesso controcorrente rispetto al resto della nazione.
Si è annotato spesso in questi ultimi tempi, di fronte alle straordinarie rivolte del mondo arabo, che in Italia sembravamo tutti incapaci di muoverci e lottare per ciò in cui credevamo.
Pur non potendo parlare di rivolta popolare, possiamo dire che questa volta la base ha saputo imporre tramite il meccanismo elettorale la propria volontà di partecipare e far sentire la propria voce e il proprio peso. A modo nostro, come italiani, siamo riusciti a dire basta a un certo modo di fare politica francamente desueto e irritante.
(«l'Altrapagina», giugno 2011)

Paolo Calabrò

Filosofia e Noir

Madrelingua napoletano, vive a Caserta, dedicandosi alla famiglia, alla filosofia e, ovviamente, al noir. Gestisce il sito ufficiale di Maurice Bellet in italiano