lunedì 12 settembre 2011

Crisi di sistema. Intervista a Roberto Tesi, alias Galapagos

Roberto Tesi, alias Galapagos, è giornalista economico del quotidiano "il manifesto".


Non si parla d’altro che dell’ultima manovra finanziaria, che lei ha definito senza mezzi termini “uno schifo”. Perché?
Intanto perché, come vado scrivendo ormai da mesi, è evidente che la manovra andasse ampiamente anticipata. Oggi tutti si accorgono che i mercati speculano. D’altra parte l’etimologia della parola “speculare” è “prevedere”: in questa situazione i mercati avevano previsto molto bene la fragilità della situazione italiana. Quanto allo schifo, questa manovra è fuori luogo perché va a colpire elementi economici assolutamente indispensabili per la ripresa del Paese, senza coinvolgere affatto quelli che invece andrebbero colpiti significativamente. Un esempio: l’Italia è il Paese al mondo nel quale la proprietà edilizia è tassata meno. Sulle case si pagano pochissime tasse: così si è venuto a formare uno strato di persone che “conservano case”, anche sfitte, poiché il costo in termini di tasse è irrisorio. Credo invece che
proprio le case vadano tassate molto di più, anche per dare maggiore fluidità al settore immobiliare (e per evitare che i prezzi salgano in maniera ingiustificata, come accade da noi).
Poi aggiunge:
io credo che i tempi siano maturi per l’istituzione di una tassa patrimoniale ben definita. Non di un generico “contributo di solidarietà” una tantum, che alla fin fine va a colpire sempre gli stessi (quella parte di “ricchi”, di redditi alti, che le tasse tuttavia le pagano già); bisognerebbe invece puntare ai patrimoni veri e propri, quelli che non compaiono nella dichiarazione dei redditi (a causa di un reddito medio o basso), ma che si compongono di immobili, titoli ecc., fino a raggiungere una cifra patrimoniale complessiva anch’essa oltre i 100.000 o i 200.000 euro. Questa è la vera ricchezza di una persona, non il suo solo reddito; so che qualcuno mi maledirà per questo che dico, ma in fin dei conti “essere giusti” ha un suo prezzo.
Parliamo di “giustizia fiscale”.
Certo. Io credo che queste due strade che ho indicato (aumento ed estensione dell’ICI, istituzione di una tassa patrimoniale) siano una ricetta valida per uscire dalla crisi e redistribuire la ricchezza in termini più equi.
Quello dell’ICI più bassa è l’unico “primato” italiano?
Per dirne un altro, penso all’imposta di successione: anche in questo caso, si tratta di una delle imposte più basse al mondo. da noi gli eredi legittimi si impossessano di patrimoni giganteschi praticamente gratis. Ma da nessuna parte è scritto che non si possa tassare, anche corposamente, l’eredità: sarebbe un’ottima fonte di risorse da destinare alla crescita e allo sviluppo.
In genere si vede di cattivo occhio la patrimoniale perché si argomenta che i ricchi vadano incentivati ad investire per il benessere di tutti. Cosa ne pensa?
Vorrei ribadire che io sono contrario a una patrimoniale che vada ad aggiungersi all’attuale prelievo fiscale, cioè un innalzamento ulteriore delle aliquote. Io sono per una patrimoniale che attinga ai patrimoni veri e propri, come dicevo prima: gli immobili, i titoli, quelle cose che costituiscono una grossa fonte di ricchezza e che al contempo sono difficili da nascondere al fisco.
Anche il suo giudizio politico è molto duro: ha scritto che “questo governo è morto”.
E lo confermo: questo governo è morto perché non si è assolutamente reso conto della situazione economica italiana e internazionale reale. Hanno ripetuto ossessivamente per tre anni lo slogan “l’Italia sta meglio degli altri Paesi”. Io non so quali altri Paesi avessero in mente; ma è chiaro che è bastato un sussulto dell’economia internazionale per rivelare che l’Italia non se la passava affatto così bene. Tuttavia, sulla base di questo assunto avevano varato, solo tre mesi fa, una manovra ridicola, che rinviava tutto al 2013. Letteralmente non avevano compreso la situazione. Si tenga oltretutto presente che non esistono solo le esigenze di risanamento dei conti pubblici, ma la necessità di rimettere in moto lo sviluppo, di potenziare le infrastrutture, di sostenere il reddito di chi ne ha più bisogno. Questo governo è morto e non da oggi: al di là delle sicurezze ostentate da Tremonti e Berlusconi, non riuscirà a durare.
Ha in mente qualche nome per una successione? Forse Mario Draghi, come a suo tempo Ciampi, o Montezemolo che proprio in questi giorni sembra fare capolino?
Non è facile fare previsioni in questo ambito, ma posso dire che credo poco ai governi tecnici. I governi devono essere politici. La passione politica e il coinvolgimento dei cittadini sono gli ingredienti per venir fuori dalle crisi: come mostra in maniera lampante il caso di Napoli, non occorre l’esercito, ma l’opera delle migliaia di giovani di buona volontà coordinata da un sindaco che ha saputo ridare una speranza concreta, mostrando di saper rimboccarsi le maniche a sua volta. Io credo poco ai tecnici che risolvono tutto dall’alto della loro competenza procedurale. Dobbiamo cominciare ad abituarci all’idea che è l’intero sistema a dover cambiare. La logica capitalistica del continuo rattoppo del sistema non va più bene: basta guardare all’estensione di questa crisi (che si protrae ormai dal 2008: è sempre la stessa). E durerà ancora. Dico questo non perché mi piaccia essere pessimista, ma perché quello che va compreso è che questo sistema non funziona più. Solo un nuovo Stato sociale può risolvere questi problemi e prevenirne di nuovi.
Marino Badiale ha scritto su Megachip che la sua posizione coincide con quella di De Bortoli: “il quotidiano comunista dice le stesse cose della voce del padrone”. Secondo lui, anche Galapagos non fa che parlare della vecchia terna liberistica globalizzazione, Europa, crescita.
Chi, io? Io dico queste cose?
mi risponde, come di fronte a una cosa evidentemente impossibile. Poi riprende:
intanto la globalizzazione è sotto gli occhi di tutti, al momento non resta che governarla. D’altro canto la crescita non è qualcosa di negativo in generale: è negativo il concetto di crescita - tra l’altro troppo a lungo utilizzato - inteso come aumento della quantità di beni prodotti. Io auspico una crescita della qualità, cioè l’aumento dei servizi o del benessere, che è più difficile da misurare ma non è meno necessaria della produzione di beni.
Ma è possibile davvero governare la globalizzazione? Sembra un eterno scaricabarile: i Comuni incolpano il governo, il governo rimanda all’Europa, l’Europa addita la crisi. Gli Stati nazionali son ancora veramente sovrani, o sono ormai ostaggio dell’economia globale?
Il discorso sarebbe molto ampio e complesso, ma la conclusione è che la globalizzazione può certamente essere governata. Si cerca in tutti i modi di imporre il pensiero che ogni cosa può essere ridotta a una procedura, ma non è così. Perciò prima parlavo di preminenza della politica. Il caso cinese è incoraggiante al riguardo: la Cina oggi è il Paese che investe più d’ogni altro in energie alternative. Si può.
Il cittadino può partecipare a questo processo, o non resta che la rassegnazione?
No, mai, mai rassegnarsi. Io mi rendo conto sempre di più che ognuno di noi può fare qualcosa. Ad esempio, mi rendo conto che i migliori alleati degli evasori fiscali siamo noi: quando non richiediamo la fattura per una visita medica, quando al ristorante rinunciamo allo scontrino a fronte di un misero sconto, quanto tolleriamo (o addirittura preferiamo) operai e artigiani che lavorano in nero.
Gilioli, dell’Espresso, ha proposto provocatoriamente l’istituzione della figura dell’“ausiliario del fisco”: un incaricato in borghese che accerti amministrativamente tutte le infrazioni e che le sanzioni in maniera salatissima. Cosa ne pensa?
Ci ho pensato spesso anch’io, è un po’ il sogno di tutti i cittadini onesti quello di cogliere in castagna i malfattori. Ma ripeto quello che ho detto prima: io credo che né uno, né dieci, né centomila ausiliari del fisco potranno sostituirsi a noi, che potremmo e dovremmo chiedere la ricevuta sempre e comunque, per qualsiasi prestazione economica (sembra che invece non importi a nessuno). Forse dovremmo riuscire a studiare un sistema fiscale completamente conflittuale, nel quale sia possibile scaricare tutto (ciò renderebbe finalmente preferibile chiedere la fattura a tutti).
Ha scritto che l’Europa è preoccupata per l’Italia. Dovremmo preoccuparcene anche noi?
Be’, siamo in una situazione economica innegabilmente difficile, dove molti sono i Paesi in crisi. Solo quelli che cadono sempre in piedi possono permettersi il lusso di non preoccuparsi.
Apprendiamo qualcosa da questa ennesima crisi? Come potremo servircene in futuro?
In parte la mia risposta è disseminata nelle cose che ho detto prima. La cosa che mi preoccupa di più è la scandalosa uniformità del pensiero e lo strapotere acquisito e gestito dai tecnici. Oggi, di fronte alla vastità della crisi, il nostro Parlamento si perde nei dettagli tecnici di questioni secondarie e di punti percentuali. La vera lezione è che è giunto il momento per ripensare a uno Stato sociale in cui le priorità possano essere stabilite e realizzate politicamente. O torna quanto prima il ruolo centrale della politica o vedremo ritornare, una volta di più, crisi come questa.

(«l'Altrapagina», settembre 2011)

Paolo Calabrò

Filosofia e Noir

Madrelingua napoletano, vive a Caserta, dedicandosi alla famiglia, alla filosofia e, ovviamente, al noir. Gestisce il sito ufficiale di Maurice Bellet in italiano