sabato 1 ottobre 2011

Città e periferia

Ovvero: consigli a un politico che vuole sfondare e conservare il potere per tanti, tanti, tanti anni.
Se sei un politico alle prime armi, con i miei suggerimenti semplici semplici ti potrai garantire una carriera luminosa e duratura. Ecco come.
Supponiamo che tu venga eletto sindaco in un comune del nostro meridione. Ti serve innanzitutto un grosso appalto pubblico. Di questi tempi gli enti locali sono sul lastrico, ma non ti sarà difficile reperire fondi provinciali/regionali/nazionali/comunitari/extraspaziali da poter utilizzare per l’intramontabile edilizia popolare. Trovati i soldi, individua una zona desertica ai margini della tua città e
costruisci in fretta e furia un gran numero di alloggi ma, attenzione: che le graduatorie di assegnazione, le certificazioni di abitabilità e tutte le componenti burocratiche del caso impieghino almeno dieci anni ad arrivare.

Una politica assistenziale occasionale e insufficiente è il modo migliore per alimentare la dipendenza dei cittadini dalla (cattiva) politica.
M. Magatti (a cura di), La città abbandonata, ed. il Mulino, 2007

Vedrai che in un batter d’occhi gli alloggi verranno occupati (abusivamente, è ovvio). Bada bene di non fornire a quelle persone né acqua, né luce, né gas (a chi ti accusa, ribatti che i documenti non sono ancora in regola); men che meno procurerai forme di trasporto pubblico verso la città. Che essi vedano la città vicina (e te, che risiedi e parli in città, come il loro politico di riferimento), ma irraggiungibile. Che siano costretti a vivere quotidianamente di sotterfugi, irregolarità, arte di arrangiarsi (così non potranno incolparti mai di nulla, perché i primi colpevoli saranno sempre loro). Che se la cavino in ogni maniera illecita per sbarcare il lunario e per cercare di rendere quel luogo un po’ meno inospitale: in questo modo, ogni piccola cosa che farai sarà un’insperata innovazione. Ogni diritto finalmente riconosciuto, una concessione. Ogni promessa, una vagonata di voti che ti permetterà di rimanere in sella altri dieci, venti, trenta anni. Forse per tutta la vita.
Consigli d’oro, di cui mi piacerebbe prendermi tutto il merito. Ma purtroppo non si tratta di una mia invenzione, bensì della mera descrizione della condizione odierna del quartiere Zen di Palermo, che ho ripreso dal corposo e importante volume La città abbandonata. Dove sono e come cambiano le periferie italiane (ed. il Mulino, 2007. Edizione con CD-rom). Uno studio delle periferie di dieci città italiane (tra cui la vicina Scampia) portato avanti per oltre 2 anni dalla Caritas in collaborazione con l’Università Cattolica di Milano (a cura di Mauro Magatti).
Non è soltanto un resoconto di grande intensità (che quasi si legge con passione, se non fosse per la mole dei dati riportati con puntualità). È uno strumento fondamentale per conoscere quella realtà tanto prossima a noi di cui speso tuttavia crediamo di poter dimenticarci: la periferia.
Veniamo a sapere (grazie all’opera biennale dei volontari che hanno vissuto nei quartieri indagati giorno e notte, talora subendo pressioni, minacce, soprusi) che la periferia non è affatto una realtà omogenea tendenzialmente depressa e incline alla criminalità, bensì un tessuto nel quale il disoccupato storico vive accanto al professore che ha trovato conveniente comprare casa in un posto un po’ meno caro; in cui il delinquente frequenta gli stessi luoghi di chi lavora tutta la giornata, magari in nero (ma onestamente); in cui qualcuno riesce ad emergere come signorotto locale, detentore di un piccolo potere e del conseguente rispetto, mentre qualcun altro darebbe qualunque cosa per potersene andare, e non può.
Capire la periferia è il primo passo per immaginare una politica locale che non si limiti alla risoluzione di problemi contingenti, circoscritta e priva di orizzonte. Anche il nostro politico in erba può farne tesoro: «l’assenza di reali politiche contro la povertà e un sistema di protezione sociale carente e inefficiente sono il terreno ideale per interventi occasionali, gestiti secondo modalità discrezionali che alimentano la condizione di dipendenza». Nell’epoca delle crisi economiche croniche, il vero capitale da sfruttare è l’uomo. Benvenuti in politica.

(«Il Caffè», 30 settembre 2011)

Paolo Calabrò

Filosofia e Noir

Madrelingua napoletano, vive a Caserta, dedicandosi alla famiglia, alla filosofia e, ovviamente, al noir. Gestisce il sito ufficiale di Maurice Bellet in italiano