sabato 29 ottobre 2011

Se lo dice la scienza/1

Ci risiamo. Su «Repubblica» del 28 luglio 2011 leggo dell’ennesima sensazionale scoperta della scienza positiva: essere arrabbiati è peggio che non esserlo. Quindi: meglio perdonare che tener vivo il rancore. Per scoprire questa insospettabile verità si sono esercitate a lungo “le migliori menti” americane della Stanford University, le quali hanno concluso che “impedire che un problema personale si trasformi in crisi migliora la qualità della vita e fa bene alla salute”, in quanto “riduce lo stress, diluisce la rabbia, abbassa la pressione sanguigna e ha effetti benèfici su tutto il corpo”.
Come è possibile che una simile ovvietà (senza scomodare le saggezze millenarie, Martin Luther King ci ricordava che “l’odio paralizza la vita, mentre l’amore la libera”) sia divenuta addirittura un caso editoriale negli Stati Uniti? No, non siamo diventati completamente stupidi, è solo che ormai dipendiamo talmente dalla scienza e dal suo verbo che anche l’ovvio, per noi, va “dimostrato scientificamente con i test di laboratorio”. Se no non ci crediamo.

Dormi quando hai sonno, non esagerare con gli eccitanti. Di buon senso non è mai morto nessuno

Ma questo non è l’unico motivo per prendere le distanze (non dalla scienza, che riteniamo utile e benvenuta sia in quanto sapere sia in quanto tecnica) dalla propaganda e dalla mentalità scientista, quella che anche i sottaceti vengono reclamizzati da esperti in camice bianco che ne decantano le qualità nutritive a colpi di grafici e statistiche. Un motivo in più per imparare a tenere gli occhi aperti e discernere personalmente (atteggiamento sommamente scientifico) ci è dato da alcuni studi scientifici che risultano contraddittori, senza che si sia in grado di stabilire dove stia la ragione.
È il caso ad esempio, del caffè: è stato recentemente sbandierato sui giornali che il caffè (la caffeina) sia utile nella prevenzione dei tumori della pelle («Corriere della sera», 16 agosto 2011). Non solo: anche del cancro alla prostata («Repubblica», 18 maggio 2011). Ci si è spinti fino a indicarne la quantità: 6 tazzine. Nessuno si è preso la briga di annotare che il caffè è contenuto nella lunga lista internazionale delle sostanze ritenute cancerogene. Magari previeni il tumore alla pelle, e te lo becchi al pancreas. Non si sono messi ancora d’accordo. Tuttavia, per settimane non si è parlato d’altro. Sospetto che diversi miei colleghi abbiano addirittura cambiato abitudini di consumo al riguardo.
Né può dirsi finita qui. Ci avevano detto che dormire 8 ore per notte era “l’unico modo per rigenerare davvero l’organismo” («Il Sole 24 ore», 16 febbraio 2009). Ma mica così per dire: dormire meno causava l’innalzamento del cortisolo nel sangue fino al 50% in più. E allora? Allora tutti a nanna alle 9 di sera per un anno intero, fino allo stupefacente titolo del 4 ottobre 2010 («Corriere della sera»): “Contrordine: la durata del sonno ideale va dalle cinque alle sei ore e mezza”. E sì, perché (giuro che non sto inventando niente) «"il troppo stroppia", persino nel sonno. [...] Il numero perfetto non è più sette: è cinque ore, al massimo sei». Straordinario. Da quel momento, tutti giù a bere caffè per tenersi gli occhi spalancati, assonnati quanto mai dopo aver passato i precedenti 20 mesi sotto le coperte.
Io amo il caffè e adoro dormire. Negli scorsi quarant’anni mi sono reso conto che le due cose non vanno molto d’accordo. Qualcuno ha uno studio scientifico dell’ultim’ora che mi sappia dire cosa farne di questa assurda, tragicomica, incomprensibile vita?

(«Il Caffè», 28 ottobre 2011)

Paolo Calabrò

Filosofia e Noir

Madrelingua napoletano, vive a Caserta, dedicandosi alla famiglia, alla filosofia e, ovviamente, al noir. Gestisce il sito ufficiale di Maurice Bellet in italiano