«Con questo libro io intendo collocare un altro fondamento, molto più intimo, del tutto interno a noi stessi, giocando la partita della vita e del suo senso come un incontro tra Io e Dio. [...] Il mio obiettivo è contribuire a far sì che la mente contemporanea possa tornare a pensare insieme Dio e il mondo, Dio e Io, come un unico sommo mistero». Questo è il proposito di Vito Mancuso, teologo italiano di rilievo internazionale, nel suo ultimo libro Io e Dio (ed. Garzanti, 2011). Tenere uniti ciò che - pur distinti - non possono venir separati: Dio e l’uomo. Tenere insieme - in un unico itinerario di senso chiamato “vita” - l’infinito e il finito, fuori da ogni contrapposizione che, come scriveva Feuerbach, riduca l’uomo a nulla affinché Dio possa essere tutto.
La coscienza contemporanea, non solo occidentale, ha il desiderio e il bisogno di armonizzare le proprie istanze materiali con quelle spirituali; e, d’altro canto, di conciliare le proprie conoscenze positive (non solo scientifiche) con quelle che più si prestano all’abuso dell’imposizione autoritaria: tipicamente, quelle della religione. La buona novella di Mancuso è che
è possibile mettere insieme (magari con qualche stridore, ma senza reciproche sopraffazioni o esclusioni) la scienza e la fede. Ciò a patto che la scienza ritrovi lo spazio della spiritualità umana (a partire dal riconoscimento dei propri limiti intrinseci); e che la religione, dal canto suo, riconosca la necessità (e non la velleità) di accettare come parte integrante la verità propria della scienza.
Nel XII secolo, il grande filosofo ebraico Mosè Maimonide scriveva La guida dei perplessi, con l’intento di riflettere sulla possibilità di conciliare il sapere tradizionale della Torah con quello delle più recenti acquisizioni scientifiche del tempo. Nello stesso solco si inserisce l’opera di Mancuso, che non a caso riporta come sottotitolo appunto “Una guida dei perplessi” e che parte dalla considerazione di quanto sia diventato difficile parlare di Dio oggi, epoca in cui sembra che la religione voglia continuare a riflettere sul proprio Dio in contrasto con il mondo, o quanto meno a prescindere da esso. Ma, ricorda il teologo, «ogni grande civiltà si fonda sull’armonia tra senso ultimo delle cose ed esperienza concreta della vita, tra sintesi vitale e volontà analitica. Per questo una religione senza più presa sulla società diviene semplicemente inutile; e sempre per questo una società senza radicamento nella religione cade preda del caos, viene corrosa dal nichilismo e peggio ancora dell’affarismo». Situazione che abbiamo sotto gli occhi, ma cui è ancora possibile porre rimedio. A partire dalla libertà dell’uomo, che sola può affrancare dal dominio dell’autorità che vuole imporre le proprie visioni teologiche (quando non teocratiche) del mondo, e dalla schiavitù dello scientismo becero, che troppo spesso spaccia per totale e necessario ciò che è semplicemente possibile, e parziale.
Un libro scritto per uomini che amano pensare camminando (in esplicito riferimento a Nietzsche), perché sicuri che la verità non sia un oggetto o un concetto che si possa rinchiudere o definire in alcun modo: “la verità non si installa: essa cammina con l’uomo” (Maurice Bellet).
V. Mancuso, Io e Dio. Una guida dei perplessi, ed. Garzanti, 2011, pp. 488, euro 18,60.
(«Pagina3», 13 ottobre 2011)
giovedì 13 ottobre 2011
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