sabato 12 novembre 2011

Cattedrali nel deserto. Due saggi EMI sulla spiritualità dei migranti

In Italia basta sussurrare, a un qualunque angolo di strada, che c’è la remota intenzione di costruire una moschea da qualche parte e si può star certi che in un battibaleno tutti i giornali staranno dando rilievo alla notizia, tutte le TV organizzeranno talk-show a raffica, sorgeranno manifestazioni contrarie in ogni dove (con tanto di maialini al seguito). Nei bar si riprenderà a parlare dell’argomento “immigrati” e del fatto che questi, un giorno, pretenderanno di “venire a dettar legge in casa nostra”.
Maria Bombardini in Moschee d’Italia (ed. EMI, 2011), si domanda: perché l’argomento “moschea” desta così tanto scandalo? Il problema non può veramente essere la moschea in sé: nessuno oserebbe dire che bisogna negare agli immigrati il diritto di riunirsi in preghiera. Eppure facilmente e con ostentazione ci si adopera a farlo (la Lega in prima fila). Per qualche motivo, l’islam (e il suo simbolo di appropriazione del territorio: la moschea, appunto) scatena riflessi identitari assenti nel caso di altre religioni minoritarie (come ad esempio il buddhismo), risvegliando ciclicamente la favoletta fallaciana dei musulmani che vogliono impadronirsi dell’Europa con la loro “bomba demografica”.

Musulmani e cristiani si assomigliano molto quando sono entrambi migranti. Oggi lo riscopriamo in due nuovi libri dell’Editrice Missionaria

Ci si dimentica però sempre dell’altra faccia della questione; ci si dimentica troppo facilmente di cosa significhi essere minoranza religiosa (e non maggioranza). Ci si dimentica, cioè, che il cristianesimo è minoranza in molti luoghi del mondo, e proprio nel medioriente islamico; ne parla Chiara Zappa nel suo Noi, cristiani d’Arabia (ed. EMI, 2011). In cui si legge di una comunità che pur fra tante difficoltà - non ultima la povertà, ma va ricordato che lì il proselitismo è vietato, come è vietata la conversione dall’islam al cristianesimo, e i diritti civili sono molto limitati - ha sempre trovato il proprio spazio e un’ottima integrazione, riuscendo a stabilire rapporti di fiducia basati sulla sincerità e sul rispetto reciproco (qualità che la comunità islamica ha sempre apprezzato e ricambiato).
Il messaggio è chiaro: per una convivenza civile (in Italia come in Arabia) bastano il rispetto delle leggi comuni e la volontà di costruire e preservare la pace. Non c’è bisogno né di disputare sulla proprietà territoriale, né di rispolverare a ogni piè sospinto il ritrito e insulso argomento della reciprocità. Si tratta, andando al fondo della questione, di riconoscere che nessun uomo può fare a meno di aggregarsi con i suoi simili, soprattutto con quelli che la pensano come lui: non può farne a meno il giovane della sala bingo, né il musulmano in Italia né il cristiano d’Arabia (che parla così degli incontri in comunità: «senza questa boccata d’ossigeno, la mia vita qui sarebbe un inferno. La comunità cristiana, per me, è una vera casa»). Due libri consigliati, da leggere insieme; per scoprire una volta tanto non le differenze, ma le tante, tante, tante somiglianze che ci uniscono a coloro che chiamiamo, troppo frettolosamente, “gli altri”.

(«Il Caffè», 11 novembre 2011)

Paolo Calabrò

Filosofia e Noir

Madrelingua napoletano, vive a Caserta, dedicandosi alla famiglia, alla filosofia e, ovviamente, al noir. Gestisce il sito ufficiale di Maurice Bellet in italiano