martedì 22 novembre 2011

Giovani, ribellatevi! Intervista a Edoardo Martinelli

Edoardo Martinelli, allievo “della prima ora” di don Lorenzo Milani alla Scuola di Barbiana, opera nella scuola attorno a progetti che hanno come idea-guida quella di don Milani: ricondurre l’istruzione al contesto di realtà degli allievi. Attualmente lavora alla realizzazione di un ecovillaggio basato sulla descrescita serena.

Era un bambino quando ha conosciuto don Milani, oltre 50 anni fa. Che ricordo ha di se stesso e dei suoi compagni alla scuola di Barbiana?
Diciamo che quel mondo è piuttosto distante, anche se per certi versi si sta riavvicinando. Perché c’è un aspetto particolare del progetto del priore di Barbiana, che un tempo appariva anacronistico, e che oggi appare invece un aspetto profetico: l’idea che l’esodo dalle campagne verso le città è sbagliato e vada contrastato, perché fondato su un’idea assurda dalla vita breve, cioè quella che si possa vivere tutti in una società consumistica, basata sulla continua espansione economica.
Penso invece alla mia scuola a Barbiana, questa scuola di montagna con poche risorse (in apparenza), ma tanto determinata a investire nella nostra istruzione da permetterci il privilegio di una scuola all’avanguardia: abbiamo avuto i primi calcolatori ellettronici della Olivetti, imparavamo le lingue utilizzando il supporto audiovisivo, avevamo la telecamera, lo studio fotografico, l’officina, la falegnameria... il problema non sono i soldi, ma il credere veramente a una priorità educativa rispetto ad altre cose.
Ma non è solo un problema educativo, continua:
il problema è una società impazzita che vive a rovescio ed è convinta di poter continuare a farlo: una società in cui metà lavora e l’altra metà si arrangia con stipendiucci da precario o senza nulla. Una società in cui i vecchi sono obbligati a contrinuare a lavorare mentre i giovani non possono farlo. In cui nei periodi di ristrettezza, invece di tirare la cinghia cio si abbandona al superfluo. Io credo in una società che privilegi la qualità della viota alla quantità delle cose che consumiamo; convinzione che don Milani ci trasmetteva già negli anni ‘60, quando in pieno boom economico lui e Pasolini erano gli unici a dire queste cose tanto contro corrente.
In cosa consiste il “metodo don Milani”?
Il metodo è ben noto nelle sue linee fondamentali: mentre l’educazione tradizionale fa calare dall’alto l’insegnamento, decidendo secondo una tabella di marcia rigida e precostituita l’argomento del giorno, don Milani prende spunto dal contesto reale dell’allievo, ampliandolo fino ad arrivare alle conoscenze consolidate dei vari ambiti del sapere. La differenza con l’educatore tradizionale che monta in cattedra e predica, è che il metodo di don Milani fornisce all’allievo gli strumenti per apprendere a modo proprio, a sua misura, a partire dall’esperienza che può compiere direttamente tutti i giorni. Il metodo di Barbiana è stato diffusamente introdotto nella scuola: il problema oggi non è la sua divulgazione, ma la sua applicazione, in una società cambiata al punto da diventare perversa. Basti pensare che il punto di riferimento di don Milani era il sindacato, mentre oggi il sindacato è la struttura più conservatrice della società.
E aggiunge:
non crediate che quella di Barbiana sia un’esperienza ormai conclusa, prerogativa di un’epoca particolare. L’esperienza di Barbiana, come dicevo, è stata introdotta sul piano teorico in grande misura nella scuola (e se oggi questa non funziona più le cause vanno secondo me ricercate altrove). Quella di oggi è una scuola media in cui semplicemente non è possibile applicare le idee di Barbiana. Ma, insomma: una scuola in cui ogni ora suona la campanella e si cambia classe, a ogni ora si cambia contesto educativo, ogni classe è formata da 30 studenti e ogni insegnante si trova ad avere a che fare con un numero di allievi tale che alla fine dell’anno non conosce ancora i loro nomi.
La scuola ha forse un problema pedagogico?
Non un problema pedagogico, tutt’altro: don Milani è presente in qualunque manuale contemporaneo di pedagogia. Il problema è la struttura organizzativa di una scuola che investe annualmente 6.700 euro per ogni ragazzo e che con queste risorse non è in grado di dare un’istruzione adeguata. Anche perché nessuno vuol rinunciare ai privilegi che ha. E quando dico privilegi mi riferisco al fatto che, a fronte delle pretese di inclusività e di eccellenza della scuola italiana, si continui a tenere delle classi di 30 ragazzi con un orario enormemente frammentato. Non si può fare. C’è bisogno, per soddisfare quelle aspettative, di un numero doppio di insegnanti, classi di 15 alunni e un tempo molto più rallentato. Il che vuol dire: guadagnare la metà; cominciare a fare una politica salariale in cui si parli di salario garantito e non più di stipendi moltiplicati per 15 mesi all’anno, con 4 mesi di vacanza... si potrebbe continuare a lungo. È una questione che chi vive nella scuola conosce molto bene.
Potrebbe sembrare di avere a che fare con l’annosa questione degli insegnanti che non sono all’altezza, ma Martinelli precisa:
in un certo senso è un problema degli insegnanti, ma non perché la loro qualità sia scadente, anzi. Se oggi lo stesso don Milani si trovasse a insegnare in una scuola di Città di Castello, dovendo cambiare classe a ogni ora... avrebbe comunque i suoi problemi. Come dicevo, è un problema a monte della struttura organizzativa. La scuola di oggi sembra fatta apposta per insegnare male (e non è stata sempre così: è un processo che va avanti da molti anni): è in atto un progetto a lungo termine di smantellamento della scuola pubblica che parte da lontano. Riflettiamo: proprio quando lo Stato dismette centinaia di istituti comprensivi in disuso, Comunione e Liberazione li acquista per farne scuole private. Una curiosa coincidenza.
In che modo l’adolescenza è cambiata da allora?
In primo luogo, l’adolescenza è cambiata molto. La nostra adolescenza è durata un attimo: fin da subito i nostri educatori ci hanno messi di fronte a un progetto di vita, facendoci capire che la vita è dura. Ora invece l’adolescenza dura trent’anni.
Tutti bamboccioni?
Non lo credo, chiamare “bambocci” i ragazzi è un modo stupido e deviato di giudicare; non si può incolpare di inettitudine un giovane che la società priva delle condizioni per costruirsi un futuro, rendendolo dipendente dalla paghetta dei parenti. Come può un giovane porsi il probema di crearsi uno spazio, una casa, una famiglia? L’adolescenza è sicuramente cambiata; e non perché la società sia evoluta, ma perché purtroppo è involuta, mettendo dei giovani di 30-40 anni nell’impossibilità di diventare autonomi. Del resto, prosegue, anche le famiglie sono cambiate. Una volta collaboravano con gli educatori: a Barbiana, quando la maggior parte delle famiglie era contadina, era difficile che queste si schierassero con il proprio ragazzo contro un educatore. Oggi questa comunanza di intenti non c’è più, gli educatori sono erogatori di servizi come tutti gli altri da cui si pretende solo una certa prestazione. Non si crea nessuna complicità. E l’educazione ne fa le spese.
Don Achille Rossi, parroco a Città di Castello, manda avanti da 40 anni un doposcuola modellato sull’esempio di don Milani. E sostiene che “si può vivere insieme ai ragazzi di oggi, ma bisogna saperli prendere sul serio”. Perché è diventato così difficile avere fiducia nei giovani?
Il problema non è tanto prendere sul serio i ragazzi, ma riuscire a trattarli alla pari. Quando un ragazzo supera una certa età, bisognerebbe cominciare a trattarlo da adulto, e dargli delle responsabilità, facendogli capire che lo studio è soprattutto un progetto di vita, e non qualcosa da fare per obbligo (“la scuola fine a se stessa”, si dice nella Lettera a una professoressa). Conoscendo don Achille, sono sicuro che il metodo nel suo doposcuola può funzionare: ma questo perché lui è un referente forte, visto dai ragazzi come una figura “reale”, dotato di uno spessore che lo rende un uomo a tuttotondo, mentre in generale gli insegnanti - soprattutto a causa della frammentazione srtificiosa dell’orario scolastico - non sono che puri referenti astratti per una certa materia. Dovrebbero esserci più esperienze come quella di don Achille.
In chiusura: un messaggio di impegno per gli educatori, e uno di speranza per i giovani.
Io parto da un presupposto: il problema della vita non è l’economia (io non ho bisogno né di tanti soldi né di tante risorse), ma avere una vita piena in cui il mestiere di insegnante torni a essere un piacere, come era a Barbiana. La democrazia non si predica da dietro una cattedra, ma la si esercita instaurando un rapporto dialogico. Noi non siamo in una democrazia, ma in una dittatura del 51% - una forma di dittatura strisciante, nella quale chiunque prenda il potere lo usa senza rispetto per le minoranze e per gli interessi comuni. Ai giovani dico di essere risoluti a non accettare tutti i compromessi che la società impone; dico di ribellarsi, in maniera pacifica e nonviolenta, ma decisa, con un’azione culturale forte e determinata. Non per accentuare la frattura generazionale della nostra società ma, al contrario, per ricomporla. Siamo di fronte a una lotta di liberazione: e i giovani ne sono certamente all’altezza.

(«l'Altrapagina», novembre 2011)

Paolo Calabrò

Filosofia e Noir

Madrelingua napoletano, vive a Caserta, dedicandosi alla famiglia, alla filosofia e, ovviamente, al noir. Gestisce il sito ufficiale di Maurice Bellet in italiano