sabato 3 dicembre 2011

Passaggio d'epoca

Mentre i neoevoluzionisti esultano a ogni scoperta di reperti fossili che possano dimostrare come si sia a un passo dall’individuare l’ultimo anello mancante della catena che separa l’essere umano dalla scimmia, scopro con sgomento di essere un reazionario impenitente, destinato all’inevitabile esecrazione dei “progressisti”. Continuo, infatti, testardamente a pensare che sussista una differenza incolmabile: non solo le scimmie più brillanti non hanno una lingua nazionale ma, soprattutto, non hanno una storia da raccontare e una memoria da conservare.
Continua a procedere controtendenza Pietro Barcellona nel suo ultimo libro Passaggio d’epoca. L’Italia al tempo della crisi (ed. Marietti, 2011). Non per il gusto di farlo, bensì perché non potrebbe proprio farne a meno: Barcellona è intimamente refrattario a quel conformismo che si compiace del pensiero alla moda (soprattutto quando si ammanta di apparente ragionevolezza - “se lo dice la scienza!”), e detesta quel riduzionismo scientista che gioisce nel tentativo di ridurre l’uomo a una macchina, l’organismo a null’altro che un portavoce del gene egoista, la libertà a una questione di algoritmi cognitivi.

«Sogno una città del futuro, ricca d’arte, di bellezza architettonica, di originalità e di accoglienza».
P. Barcellona, Passaggio d’epoca, ed. Marietti, 2011

Tuttavia in questo libro non si sofferma sulla critica a certa scienza - lo ha già fatto mirabilmente in molte altre opere, tra cui la precedente, Il sapere affettivo (ed. Diabasis, 2011). Qui si concentra invece sull’Italia, sul disagio di un Paese che una lingua nazionale (e una storia da raccontare) ce le ha, ma la cui politica è schiacciata dall’economia, che sa bene che la propria «identità nazionale non può essere affidata alla FIAT» (con tutti i suoi trucchetti tattici decennali e le dichiarazioni incalzanti e destabilizzanti del suo ad), eppure non riesce a farne a meno.
Situazione italiana che si fa paradigma di quella di tutti i Paesi e di tutti i cittadini del mondo globalizzato; in cui l’illusorietà della ricchezza, dell’industrializzazione, del consumo e della crescita infiniti viene finalmente allo scoperto: nel nostro mondo dominato dalla finanza nessuno è al sicuro. Eppure Barcellona continua ad avere un sogno:
una città del futuro, in cui la ricchezza immateriale, l’arte, la bellezza architettonica, l’originalità del divertimento, sappiano incontrare una società più sobria e austera, che vive la propria esperienza quotidiana come la missione di una nuova civilizzazione. Più scuola, più università, più teatro, più cinema, più mostre, più parchi tematici, più spazi per bambini e anziani, più solidarietà e capacità di accoglienza degli stranieri.
Il sogno di una politica la cui priorità sia la lotta alla disoccupazione e la stabilità del futuro materiale delle persone. Il sogno di vivere in un Paese dove il figlio di un operaio di Termini Imerese non debba scrivere a Babbo Natale che desidera come regalo il lavoro del suo papà.
Un libro consigliato per comprendere la crisi che stiamo attraversando e come venirne fuori. Non un sogno. Un augurio.

(«Il Caffè», 2 dicembre 2011)

Paolo Calabrò

Filosofia e Noir

Madrelingua napoletano, vive a Caserta, dedicandosi alla famiglia, alla filosofia e, ovviamente, al noir. Gestisce il sito ufficiale di Maurice Bellet in italiano