venerdì 16 dicembre 2011

R.G. Newton, La fisica dei quanti sfida la realtà, ed. Dedalo, 2011

Quando si ha l’occasione di ascoltare un fisico delle particelle parlare della propria materia (la meccanica quantistica, MQ), conviene prestargli orecchio: nessuno conosce meglio certe cose di colui che le osserva da vicino. Ma quando a parlare è un fisico quantistico che ha lavorato al fianco di Albert Einstein... le orecchie bisogna spalancarle.
È il caso di Roger G. Newton, dottorato ad Harvard nel 1953, che si è trovato all’Institute for Advanced Studies di Princeton in concomitanza con gli ultimi due anni della vita di Einstein,
che nel suo ultimo libro ci racconta la storia emozionante della nascita e dei primi sviluppi della MQ da un punto di vista autorevole e originale: quello della polemica fra due modi opposti non solo di interpretare la MQ, ma l’intero rapporto della fisica con la realtà.
Uno scontro fra due titani della scienza, Einstein e Bohr, condotto a suon di esperimenti mentali e pubblicazioni (fra tutte si ricorda quella celeberrima sul principio di località a firma di Einstein-Podolsky-Rosen); uno scontro che ovviamente non verteva sui risultati delle misure (innegabili per entrambi) bensì, appunto, sull’interpretazione teorica, cioè sul problema: la MQ è soltanto una procedura matematica utile alla previsione di risultati, o una teoria in grado di svelare (seppur parzialmente) “com’è fatta la realtà”? Bohr non aveva dubbi al riguardo: la MQ non è null’altro che matematica, utile a calcolare il mondo subatomico, non a comprenderlo - posizione oggi radicalizzata e fatta propria da studiosi come Stephen Hawking:
non chiedo che una teoria corrisponda alla realtà perché non so cosa sia la realtà. Tutto ciò che mi interessa è che la teoria preveda risultati delle misurazioni (in S.W. Hawking e R. Penrose, “La natura dello spazio e del tempo”, p. 121, citato in R. Penrose, “La strada che porta alla realtà”, ed. RCS, Milano 2007, III ed., p. 785).
Ma Einstein non riusciva a rassegnarsi: non solo perché “Dio non gioca a dadi” (ovvero: la probabilità in fisica dev’essere l’esito della nostra impossibilità di un calcolo puntuale - come in meccanica statistica - e non la struttura ultima della realtà - come invece pretende la Scuola di Copenaghen, che a Bohr faceva capo), ma soprattutto perché non riusciva ad accettare un modello fisico che con tutte le sue stranezze (sovrapposizione, entanglement, ecc.) non rispecchiasse in qualche maniera il funzionamento “autentico” della realtà.
Nell’impossibilità di distillare dalla MQ una visione della realtà comprensibile e coerente, spiega Newton, “Bohr vinse la partita”: alla MQ non si può e non si deve chiedere null’altro che l’affidabilità nei calcoli. Eppure, continua l’autore, Einstein “aveva ragione”: la MQ non è “strana” perché rispecchia l’andamento di una realtà strana (ciò che anche Heisenberg, pur concordando con lui, continuava a eccepire a Bohr); la MQ è strana perché “rispecchia la realtà solo in modo indiretto”.
Newton prende le mosse da questa diatriba per inquadrare in generale il problema, tuttora dibattuto, del rapporto tra le cose e la comprensione fisica che ne abbiamo. E lo fa ripercorrendo, con dovizia di esempi e di dettagli, la storia della fisica, dai precursori come Aristotele ai grandi protagonisti della scena scientifica del secolo scorso; illustrando con entusiasmo i progressi della ricerca, senza nasconderne le impasse. Da leggere d’un fiato, ma con la giusta concentrazione. In una bella edizione rilegata a filo, con sovraccoperta a colori e la Prefazione all’edizione italiana di Giulio Peruzzi.

(«Galileo», 12 dicembre 2011)

Paolo Calabrò

Filosofia e Noir

Madrelingua napoletano, vive a Caserta, dedicandosi alla famiglia, alla filosofia e, ovviamente, al noir. Gestisce il sito ufficiale di Maurice Bellet in italiano