Alla fine del mondo, mentre tutto brucia in seguito a una catastrofe ecologica di dimensioni globali, gli unici due superstiti si incontrano per cercare di capire come e perché l’umanità sia giunta al punto di autodistruggersi.
Si tratta di un religioso (frate Alme) e di uno psicologo (dottor Nebe) - «i due individui che più hanno rappresentato megalomania e decadenza della natura umana» - assisi insieme in cima all’unica collina verdeggiante non ancora bruciata. I quali si confrontano, una volta di più, sui grandi problemi dell’anima e della psiche, dove ne va del destino stesso dell’uomo (destino che hanno sotto gli occhi). Cui si intersecano questioni politiche, antropologiche, filosofiche. In una polemica ininterrotta (perché anche in prossimità della fine di tutte le cose i due - figure archetipiche - non rinunciano alla disputa faziosa), dove tuttavia concordano su un punto: se l’uomo è arrivato a distruggere tutto, è perché non ha saputo (ma, soprattutto, non ha voluto) assumersi la propria responsabilità di essere umano: quella cioè di impugnare la propria vita per imprimerle una direzione precisa e ponderata, preferendo invece sempre lasciarsela scorrere addosso come qualcosa di “automatico” e delegando agli altri la decisione e l’azione comuni.
Ma non è tutto qui. Se da un lato l’uomo ha sottovalutato il proprio peso nel processo storico-sociale, dall’altro ha sopravvalutato (e quanto!) il proprio ruolo nel mondo, soprattutto nei confronti degli animali, ritenendosi diverso e superiore al resto della natura: ed ecco che alla fine, nell’ansia di dominare tutto, non è riuscito a far altro che sterminare tutto. È questa la sentenza del Signor Rove, che interviene alla fine della discussione. Non solo per condannare: bensì per spiegare agli interlocutori e al lettore stesso (cui finisce per rivolgersi alla seconda persona) che esiste una seconda possibilità, un’alternativa all’annientamento; la “cura di tutte le cose” cui già invitava, oltre due millenni fa, Periandro di Corinto. Perché la via della salvezza esiste, e passa per il rispetto, la comprensione, l’aiuto degli ultimi (e tra questi, appunto, gli animali). Chi sa capire questo, capisce anche che “finalmente” è la fine del mondo, di questo mondo fratturato tra migliori e peggiori, padroni e schiavi, mosso dall’avidità (esplicitamente declinata nel senso capitalistico) e strutturato sulla violenza. Sta per nascere un mondo nuovo: quello in cui un uomo nuovo sa farsi davvero carico della propria responsabilità unica verso tutto ciò che esiste.
Caffo riprende qui le tematiche animalistiche del suo primo libro Soltanto per loro dando alle stampe un romanzo filosofico schietto e godibile, che si fa leggere - per così dire - in un boccone. Per la linearità dello stile e il linguaggio diretto, è particolarmente consigliato ai non specialisti.
L. Caffo, Finalmente è la fine del mondo, ed. Zona, 2011, pp. 90, euro 10.
(«Pagina3», 4 gennaio 2011)
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