martedì 28 febbraio 2012

Albakiara, di Stefano Salvati

Albakiara è un film del 2008 di Stefano Salvati (il quale scrive la sceneggiatura insieme a Carlo Lucarelli) che ha ricevuto molte critiche, sulla stampa (“brutto e irritante”; “al peggio non c’è mai limite”; “una sceneggiatura da camicia di forza”) e online (“accozzaglia indigeribile di registri”; “sconclusionato”; “assolutamente perdibile”).
Vorrei azzardarmi qui ad essere controcorrente, spiegandone il perché. E vorrei farlo tramite una sola scena del film (che è la più vituperata della pellicola: la gara di sesso orale nel parcheggio della discoteca). Questa la sequenza: ragazze in età da liceo che chiacchierano nel bagno della discoteca, mettendosi reciprocamente in mostra, ciascuna vantandosi delle proprie doti e del proprio curriculum amoroso. Dopo un po’ di battibecco, decidono di gareggiare per verificare chi di loro sia la migliore: ma in palio non c’è questo titolo di superiorità, bensì la borsa firmata di una di loro. Insomma, Lo fanno per goliardia, un po’ per noia (in fin dei conti, si tratta comunque della generazione che ha tutto e non sa più desiderare, tanto da spingersi verso eccessi sempre maggiori). Ma nessuna di queste tensioni è compiuta: il divertimento cede il passo a una prestazione meccanica che affatica e basta; parimenti la goliardia si immiserisce nell’accontentarsi di un trofeo che non ha alcun valore in sé (non è il simbolo di nulla di particolare, né ha caratteristiche particolari, né ancora una sua unicità), ma che semplicemente è l’unica cosa a portata di mano. Come a dire che la vittoria, la supremazia, perfino il titolo di “migliore del gruppo” non hanno nessun valore per sé, ma che non c’è niente di meglio che il possesso di un oggetto nuovo, ancorché insignificante.
Il resto sono le due storie intrecciate che finiscono per convergere: lei, Chiara, liceale svogliata in cerca del grande amore; lui (Raz De Gan) ispettore di polizia corrotto, che prepara il grande colpo che gli permetterà di sistemarsi, una volta per tutte, dall'altra parte dell'oceano. Intorno a loro una galleria di personaggi diversi e simili: il fidanzato di lei (Davide Rossi, figlio di Vasco) che fa il dj e che cerca di sfondare in internet aprendo un sito porno a pagamento; lo zio (Alessandro Haber), persona pacata e a modo, ma che non disdegna di partecipare al furto di una grossa quantità di droga; il bidello che spaccia marijuana nei bagni della scuola; e una torma di amiche e amici, rotti - sembrerebbe - a ogni esperienza, in grado di passare con leggiadria da un drink in discoteca a un'orgia filmata in un separé, senza mai perdere quel sorrisetto disincantato e fisso, tra l'ammiccante e l'inebetito.
Albakiara con ogni probabilità non è un capolavoro. Sarà perché detesto le produzioni didascaliche (nel tentativo di essere edificanti), ma questo film senza eufemismi, né verbali né visivi, che attinge di quando in quando all’estetica del videogioco e coniuga generi diversi non mi è dispiaciuto affatto, anzi, l’ho rivisto di recente volentieri. Non perché mi dica qualcosa su come siamo o potremmo essere, e nemmeno perché costituisce uno “spaccato” di questa società: Albakiara dà un senso di vertigine mostrando il vuoto che si nasconde in noi e in cui da un momento all’altro rischiamo di mettere i piedi. Un film che mi ha emozionato. Non capita sempre.

(«Pagina3», 28 febbraio 2012)

Paolo Calabrò

Filosofia e Noir

Madrelingua napoletano, vive a Caserta, dedicandosi alla famiglia, alla filosofia e, ovviamente, al noir. Gestisce il sito ufficiale di Maurice Bellet in italiano