«Ho capito sia quello che hai detto sia quello che non hai detto», dicono gli africani al termine della conversazione per alludere al fatto di aver còlto nel discorso comune non soltanto il contenuto di ciò di cui si è parlato ma l'essenza profonda di ciò che si voleva intendere al di là della limitatezza delle parole utilizzate. Achille Rossi, nel suo ultimo Riflessi. L’amicizia con Raimon Panikkar (ed. l’Altrapagina, 2012, con un inserto fotografico fuori testo di 16 pagine a colori) è riuscito a “dire” ciò che Panikkar “non ha detto” nei suoi scritti e l’ha fatto raccontando la sua amicizia ultratrentennale con il filosofo catalano, nella quale è riuscito a cogliere l'essenza del maestro come nessun altro finora, tramite la narrazione dei tanti eventi vissuti insieme tra l’India, l’Umbria, la Spagna.
Rossi dà voce a un Panikkar coerente ma inedito che sorprende una volta di più per la sua capacità di cogliere intimamente le cose in una battuta, in una situazione imprevista, in un gesto spontaneo. Ritroviamo un filosofo nella sua personale “fatica del concetto” oppure rimbrottato dalla moglie per aver tardato a cena; davanti a una birra sul lungomare o durante una nuotata in piscina; alle prese con la stanchezza o con il dilemma di dover scegliere un’operazione chirurgica alla quale è contrario in primo luogo a motivo della sua stessa filosofia; un uomo che ama venire in Italia e che si riferisce al francese Bellet - che Rossi ama e continuamente gli propone - con una punta di gelosia (“il tuo Bellet”, dice e scrive in più d’un’occasione).
Tutto questo basterebbe a renderlo un libro irrinunciabile per gli amanti di Panikkar. Eppure Riflessi è ancora qualcosa di più, rivelandosi a una seconda occhiata come il terzo atto di quella trilogia ideale cui Rossi ha dato il via nel 1990 con Pluralismo e armonia. Introduzione al pensiero di Raimon Panikkar (in cui si cimenta con il pensiero del filosofo) e portato avanti nel 2008 con L’Altro come esperienza di rivelazione (in cui dà invece la parola direttamente al pensatore, in una lunga intervista sulle tematiche centrali della sua opera). In Riflessi Rossi svela come dicevamo all'inizio il non-detto del maestro, e il suo essere perfino “primitivo” (come lui stesso si definisce, in un modo che fa pensare ai filosofi greci dell’origine). Non si teme di esagerare dicendo che Achille Rossi è il più grande conoscitore di un Panikkar in Italia e forse nel mondo: i suoi libri lo confermano e del resto lo sa bene chi lo conosce di persona (a ciò si aggiunga che l’amicizia fra i due risale al 1978, anno in cui Carlo e Rita Brutti, che firmano l’Introduzione, li hanno fatti incontrare per la prima volta; e che la citata Introduzione del 1990 è opera dall’insuperato spessore teoretico nell’ambito degli studi panikkariani). In questo suo ultimo scritto ha mostrato concretamente di aver appreso dal maestro ad una inusitata profondità.
(«Il Caffè», 30 marzo 2012; «l'Altrapagina», aprile 2012)
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