sabato 12 maggio 2012

Esercito boia/2

Gerusalemme, 21 marzo 2012. L’esercito israeliano effettua un blitz nella scuola elementare di Al-Quds, facendo irruzione nelle aule dove si sta tenendo lezione, in cerca di un bambino palestinese di 11 anni sospettato di aver lanciato pietre contro i soldati.
Non è la prima volta che accade. L’organizzazione non governativa Defence for Children (http://www.defenceforchildren.org/) ha documentato in un rapporto del 2009 che ogni anno vengono processati in Israele circa 700 bambini palestinesi (tutti con accuse simili a questa). Sarebbe ancora poca cosa; ma il fatto è che i tribunali militari israeliani operano quasi sempre in assenza di qualunque controllo internazionale, dando luogo a violazioni dei diritti umani (e dell’infanzia in particolare) inaudite e aberranti: i bambini vengono rapiti dalle forze armate e legati dolorosamente, bendati e rinchiusi dentro camionette che li trasportano a decine di chilometri di distanza, in luoghi che non conoscono e dai quali non possono comunicare con le proprie famiglie né con un avvocato (cosa che in genere viene concessa solo dopo aver già reso una confessione di colpevolezza). Schiaffi, calci, privazione del sonno e isolamento prolungato sono la loro dieta (se credete che stia solo cercando di colpirvi allo stomaco, leggete direttamente il rapporto all’indirizzo internet http://goo.gl/NAXJN, purtroppo al momento non disponibile in italiano). Se in queste condizioni è già abbastanza facile estorcere una confessione falsa a un adulto, figuriamoci a un bambino.
Ecco la testimonianza di un bambino di 10 anni:
«un soldato mi puntò contro il fucile. La canna era a pochi centimetri dalla mia faccia. Ero così terrorizzato che cominciai a piangere. Si prese gioco di me, poi mi disse: “piangi? Dimmi dov’è la pistola, prima che ti spari”».
Sarebbe già una notizia e di quelle grosse. Ma il fatto è che essa capita proprio mentre l’esercito israeliano si dota di un proprio codice morale (in internet: http://goo.gl/6UwBH, anche questo al momento solo in inglese), redatto dal filosofo israeliano Asa Kasher. Di quell’autoironia involontaria che ti lascia a bocca aperta. Un codice morale? E chi sovrintende alla sua applicazione, controllando i trasgressori e sanzionandoli? In quale tribunale tali trasgressori - una volta tirata in ballo la solita sicurezza nazionale - potranno essere condannati? Quale giustizia potrà accompagnare questa morale?
Sono così disgustato che vorrei fermarmi. Ma dovevo pensarci prima: ora che ho letto quel rapporto del 2009 non posso più tacerne. C’è scritto che i tribunali israeliani trattano i giovani palestinesi da adulti a partire dai 16 anni, mentre gli israeliani lo sono solo dai 18; e che gli interrogatori ai palestinesi non vengono filmati, come accade invece per gli israeliani. Al maltrattamento, dunque, si aggiunge la discriminazione: ti considero diverso e ti tratto da tale. Forse è questa la cosa che colpisce di più e che fa star male: vedere che l’esercito non si limita a seminare morte, ma continua da sempre ad alimentare la mentalità del “siamo noi contro di loro”, con la quale giustifica ogni orrore. Liberiamoci quanto prima di questo modo arcaico di pensare, e ci libereremo quanto prima anche dell’istituzione militare. Magari partendo da qui: dal ricordare che non esistono i figli “loro” e quelli nostri, perché i bambini sono il futuro e la speranza di tutti.

(«Il Caffè», 11 maggio 2012)

Paolo Calabrò

Filosofia e Noir

Madrelingua napoletano, vive a Caserta, dedicandosi alla famiglia, alla filosofia e, ovviamente, al noir. Gestisce il sito ufficiale di Maurice Bellet in italiano