lunedì 27 aprile 2009

Il liberalismo è un umanesimo?

Viene prima la società o l’individuo? Intorno a questa domanda si sono incrociati per secoli filosofi, sociologi, intellettuali di ogni ambito e vocazione. Gli economisti della Scuola austriaca – von Mises, von Hayek – sono del parere che l’individuo sia il fondamento di tutto il discorso economico; il resto è sovrastruttura. L’unico presupposto scientifico, non ideologico, è l’individuo nel suo comportamento razionale, finalizzato al perseguimento dei propri obiettivi.
Pascal Salin, autore del libro Liberismo, libertà, democrazia, anch’egli nel solco della linea austriaca, sostiene che la macroeconomia non esiste e che l’individuo è «l’unico punto di partenza e di arrivo di ogni scienza sociale» (p. 51). Per Salin la razionalità è la vera natura umana, che ha bisogno, per esprimersi, che l’uomo sia libero di agire a proprio piacimento (nel rispetto del sacrosanto diritto altrui alla proprietà privata); pertanto «se il liberalismo si definisce come la difesa di una società senza coercizione, si può anche affermare che il liberalismo è un umanesimo» (p. 26).

L’unico punto di partenza e di arrivo di ogni scienza sociale è l’individuo.
P. SALIN, Liberismo, libertà, democrazia, ed. Di Renzo

Date queste premesse, il discorso fila lineare. (Per inciso, nonostante l’insistenza dell’autore sul termine “liberalismo”, la sua proposta teorica appare più che altro una forma di quello che si è oggi soliti chiamare “liberismo”, termine peraltro presente anche nel titolo). Non si può tuttavia non scorgerne un limite nella manifesta incapacità degli individui di porre rimedio a problemi “globali” che sfuggono al controllo e alla programmazione dei singoli: un esempio per tutti, il problema ambientale.
Ma è un’altra la cosa che vorrei sottolineare: ovvero, vorrei mettere in evidenza le conseguenze ultime di quelle premesse. Non per approdare a conclusioni “di destra” o “di sinistra”, ma per far emergere quel volto del discorso che resterebbe altrimenti in ombra. Perché anche uno slogan che suona bene, o un’affermazione tutto sommato ragionevole, può celare un risvolto inquietante. Vediamo.
Dove conduce la razionalità pura dell’uomo economico? All’accoglienza dell’altro, alla gioia di condividere il proprio mantello con colui che non ne ha? O piuttosto ci porta a chiudere le frontiere agli immigrati “indesiderati” (p. 47) e a condannare alcuni all’indigenza, dato che “viviamo nel mondo della scarsità” ed è dunque fatale che qualcuno ne resti escluso? Perché a volte ho l’impressione che, ciò che in termini economici è “razionale”, si riveli poi “cinico” in termini umani?
La questione qui non è quanto una teoria economica individualistica, di mercato, “liberale” sia fondata. La questione è: che tipo di uomini vogliamo essere? Ci piacerebbe passare una serata accanto a una donna (o un uomo) che ci dicesse a un certo punto: “Ti amo, ma solo perché mi conviene”? Perché quella di Salin, piuttosto che un’affermazione, è una domanda che ci riguarda tutti: il liberalismo è un umanesimo? Ebbene, la pietà non è anch’essa una qualità umana? Che tipo di umanità desideriamo trovarci accanto, che tipo d’uomini desideriamo essere per coloro che abbiamo intorno? Almeno questa scelta di “umanesimo”, facciamola in base a considerazioni di “umanità” e non di pareggio di bilancio. Altrimenti i conti non torneranno mai.

(«Il Caffè», 24 aprile 2009)

Paolo Calabrò

Filosofia e Noir

Madrelingua napoletano, vive a Caserta, dedicandosi alla famiglia, alla filosofia e, ovviamente, al noir. Gestisce il sito ufficiale di Maurice Bellet in italiano