mercoledì 25 novembre 2009

Il Mediterraneo? Una discarica. Intervista a Maurizio Torrealta, 26 ottobre 2009

Da poco più di un mese è stato ritrovato a Cetraro (CS), a quasi 500 metri di profondità, un relitto contenente dei bidoni dal contenuto ancora ignoto (non è escluso che si tratti di rifiuti nucleari).
Ne abbiamo parlato con Maurizio Torrealta, giornalista di RAINews24, che fin dal 1994 ha indagato sull’omicidio della giornalista Ilaria Alpi e del suo cameraman, Miran Hrovatin, entrambi del TG3, avvenuto in un agguato a Mogadiscio (Somalia) il 20 marzo del 1994 (caso sul quale Torrealta ha anche scritto un libro, L’esecuzione. Inchiesta sull’uccisione di Ilaria Alpi e di Miran Hrovatin, con Mariangela Gritta Grainer e Giorgio e Luciana Alpi, ed. Kaos). Torrealta ha avuto modo di indagare sui legami tra la guerra civile in Somalia, la cosiddetta “pirateria” e il traffico illecito di armi e rifiuti tossici dall’Europa all’Africa. (Ricordiamo en passant – per dare in qualche modo la misura dell’atmosfera che pesava su quell’inchiesta – che il 28 gennaio del 2005, l’abitazione e la postazione RAI di Maurizio Torrealta sono state perquisite su disposizione della Commissione parlamentare d’inchiesta sugli omicidi di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin).

Si parla di oltre 30 navi dal carico tossico (specialmente rifiuti nucleari) affondate lungo tutta la costa italiana (nel Tirreno, nello Ionio, nell’Adriatico). Cosa sappiamo?
Trenta è il numero delle navi che si suppone siano state affondate deliberatamente con tutto il loro carico tossico. Ciò in base alle rivelazioni del pentito di ’ndrangheta Francesco Fonti. Ma si tratta soltanto
della punta dell’iceberg. La magistratura sta indagando accuratamente sul relitto al largo di Cetraro (CS). Ma la presenza di relitti ritrovati anche in Liguria e in Toscana (al momento) ci mostra che si tratta di un fenomeno più ampio di quel che si potrebbe credere.

Esiste qualche legame con i rifiuti della “Jolly Rosso” (ora semplicemente “Rosso”) alla foce del fiume Oliva? Si tratta di un fenomeno unico?
Secondo il racconto fatto dal pentito Francesco Fonti, l’organizzazione era molto ramificata: faceva capo a un uomo dei servizi in contatto con i capofamiglia di Reggio Calabria, i Di Stefano in particolare, a loro volta in collegamento con la varie famiglie locali. La Jolly Rosso non affondò completamente, ma si arenò nei pressi di Amantea e poi, nel ’91, venne smantellata. In quella fase si venne a conoscenza dei bidoni che la Jolly Rosso trasportava; di essi, una parte fu seppellita sul fondo del fiume, un’altra parte venne sepolta in una discarica poco distante. Oggi in quella zona viene segnalata una radioattività superiore di 6 volte a quella normale. Si tratta di dati oggettivi, verificati. Oggi una nave con lo stesso nome Jolly Rosso e con lo stesso armatore della Jolly Rosso che si arenò ad Amantea (Ignazio Messina, che si occupa appunto del trasporto di rifiuti speciali), ricompare al largo della costa somala e riesce a sfuggire ad un attacco di pirati somali. I legami ci sono, e sono tanti; ma è molto difficile risalire per intero la catena delle responsabilità. Francesco Fonti ha indicato tra i soggetti coinvolti nel traffico illecito di rifiuti nucleari perfino l’ENEA, l’Ente nazionale per le Energie Alternative; le connivenze sarebbero dunque di altissimo livello. Non dimentichiamoci che non molti anni fa, durante governi di centrosinistra, si è avuta una segreta politica di collaborazione alla condivisione di “Know How” nucleare con diversi stati del Medio Oriente. Il Reattore nucleare di Osiraq in Iraq, ad esempio, fu bombardato nel 1981 da un’illegale operazione aerea israeliana; ciò tuttavia indica che esisteva una produzione nucleare già avviata, e che qualcuno aveva fornito tecnologia e consulenza in tal senso. Il problema è di altissimo livello.

Quando potremo conoscere il contenuto dei bidoni del relitto di Cetraro?
Nel giro di qualche settimana (l’intervista è stata effettuata in data 26 ottobre 2009, n.d.r.) dovremmo venire a conoscenza dell’identità certa della nave (in data 28 ottobre 2009 è stato accertato che non si tratta della Cunsky, come in un primo momento si era pensato) e del contenuto dei fusti.

Si parla di smaltimento illegale di rifiuti con l’aggravante mafiosa. Ma si prospetta anche uno scenario più ampio, in cui entra la pirateria somala e il commercio di armi, la pista di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin.
Abbiamo diversi livelli di operazioni che vedono – come si diceva – il coinvolgimento dei governi, dei servizi segreti, delle fazioni somale, della criminalità organizzata locale e internazionale ed esiste perfino il sospetto di un coinvolgimento di enti pubblici come, appunto l’ENEA. Il problema irrisolto resta sempre lo stesso: che cosa ne facciamo delle scorie nucleari? Ad oggi nessuno sa rispondere a questa domanda e le scorie continuano a rappresentare un problema da risolvere su scale temporali più lunghe di quelle che possiamo pensare di essere in grado di governare. In un certo senso è ovvio: chi potrebbe garantire la conservazione in sicurezza di scorie per periodi di centinaia di migliaia di anni? È umanamente impossibile, allo stato della nostra organizzazione sociale. Si cerca di conseguenza di risolvere il problema illegalmente: abbiamo raccolto testimonianze che durante il governo Craxi si cominciò a inviare rifiuti tossici in Somalia – grazie ad accordi con i capi locali (anche se le prove di ciò non sono ancora certe e solide). Questo non ha contribuito a rendere la situazione politica in Somalia più solida e pacifica, ma al contrario l’ha resa più instabile e la sua instabilità è divenuta conveniente e necessaria: sarebbe altrimenti impossibile proseguire con la nostra (ma non solo italiana) politica di utilizzo di quella parte d’Africa come pattumiera dell’Occidente (cfr. al riguardo l’intervista a M. Torrealta dal titolo “Pirati fai da te”, «l’Altrapagina», maggio 2009, pp. 27-28). Cose su cui indagavano proprio Ilaria Alpi e Miran Hrovatin.

La UE ha già chiesto formalmente all’Italia notizie sul contenuto dei fusti del relitto di Cetraro. Potrebbe diventare un problema europeo? Con quali conseguenze?
Dovrebbe già essere un problema europeo. Io continuo a pensare che sia sempre più improbabile risalire ai responsabili ultimi: lo Stato non può processare se stesso per la colpa di aver trasportato illegalmente rifiuti in Somalia. Allo Stato serve mantenere intatto lo status quo e continuare a “trattare” così il problema – altrimenti irrisolvibile – delle scorie nucleari.
Abbiamo a che fare con navi affondate oltre 20 anni fa. È realistico pensare di acciuffare i responsabili e processarli?
È molto improbabile, come dicevo. Può darsi che in qualche singolo caso, magari più eclatante o simbolico, ci si arrivi, ma in generale è molto improbabile pur essendo conosciuti i responsabili politici per i diversi settori e per le diverse aree politiche internazionali: basta consultare la cronologia politica di quegli anni. Magari sarà difficile dimostrare la colpevolezza penale di questo o quel ministro; ritengo tuttavia che non sia difficile individuare la responsabilità politica in generale dei ministri di quel periodo.
Il pesce pescato potrebbe finire sulle tavole di chiunque, in tutto il mondo. Si può parlare di “crimini contro l’umanità”? In tal caso i criminali andrebbero giudicati da un tribunale internazionale?
Sarebbe corretto pensarlo. Ma questo non viene fatto nemmeno per le tonnellate di uranio “impoverito” con cui vengono irrorate nazioni intere che noi andiamo a “liberare”! Anche l’uranio porta l’aumento esponenziale dei tumori nelle zone colpite; tuttavia nessuno parla in quei casi di crimini contro l’umanità.
Scaricare bidoni di rifiuti tossici in mare è un’operazione relativamente semplice; ritrovarli richiede indagini trentennali (e non scongiura l’avvelenamento delle acque). Esistono metodi efficaci contro questa forma di criminalità?
Efficace è ogni metodo di lotta contro la criminalità organizzata in quanto tale. Prendere seriamente in considerazione le rivelazioni di un pentito e seguirne fino in fondo la pista è un metodo efficace che già da frutti apprezzabili. Si tratta solo di voler profondere nell’impresa le energie necessarie. Forse vi si arriverà solo quando il costo del recupero e della messa in sicurezza di tutte queste navi comincerà a superare il risparmio ottenuto nell’affondarle invece che stoccare le scorie in maniera appropriata.
Si è ventilata l’ipotesi di utilizzare l’esercito. Può essere questa una soluzione?
Credo che non serva assolutamente a niente. Siamo di fronte a un problema scientifico e politico, non militare.
Che ripercussioni avrà tutto ciò sull’economia della pesca e del turismo calabresi (ma anche toscane e liguri) e sull’immagine dell’Italia all’estero?
Io mi preoccuperei più dell’immagine dell’Italia per gli italiani. Alla fine l’Italia è una tale miniera di bellezze culturali e turistiche che potrà certamente ammortizzare anche questo colpo. Il problema, al di là dell’immagine, è la pericolosità vera e propria di queste navi e del loro carico letale. Vanno messe in sicurezza al più presto.
Il governo italiano vuole riprendere la strada nucleare. Questi ritrovamenti ci forniscono qualche monito al riguardo?
Direi proprio di sì. Il nucleare resta problematico almeno finché il problema delle scorie nucleari non viene risolto. Un singolo reattore nucleare da circa 1.000-1.300 megawatt produce dai 600 ai 900 chili di materiale di scarto radioattivo all’ anno. Non è un carico molto ingombrante; tuttavia lo stoccaggio è un affare davvero problematico – e le leggi attuali vietano (giustamente) l’esportazione di tali rifiuti verso Paesi dotati di appositi siti in grado di conservare il materiale per almeno 100 anni (come ad esempio la Russia). Ma, anche se le leggi fossero diverse, si tratterebbe comunque di un “gioco delle tre carte”, che sposta il problema senza risolverlo (ovvero, per risolverlo alla fine sempre nello stesso modo: passato un po’ di tempo, le scorie vengono “smaltite” illegalmente nei posti più diseredati del pianeta).
Di quali connivenze politiche siamo a conoscenza?
Non è difficile individuarle. I nomi delle persone che operavano in Somalia e i loro legami con le società italiane sono molto precisi. Chi avesse davvero voglia di fare chiarezza su questo punto non avrebbe difficoltà. Ma, ribadisco: non conviene a nessuno alterare lo status quo: in mancanza di metodi diversi (e legali), lo Stato non ha altra possibilità che esportare le scorie illegalmente al di fuori dei propri confini (cosa che non riesce sempre bene: come si è visto nel caso di questi trenta relitti, spesso i rifiuti non raggiungono i Paesi di destinazione e rimangono pericolosamente vicini alla loro origine). Non dimentichiamo del resto che in Somalia c’era una doppia convenienza nel condurre affari di questo tipo: da un lato si commerciavano armi ottenute a basso costo dall’URSS (anni ’80), dall’altro si otteneva l’indicazione di luoghi dove seppellire i fusti tossici. Il profitto era doppio. Oggi forse è un po’ diverso, anche perché la consapevolezza sulle conseguenze di questi atti si sta diffondendo.
Voci ufficiali continuano a ripetere che “i valori registrati sono normali, non c’è niente da temere”. Possiamo davvero sentirci tranquilli?
No, assolutamente no. Personalmente tendo a non mangiare pesce. Credo ci sia ben poco da star tranquilli.
(«l'Altrapagina», novembre 2009)

Paolo Calabrò

Filosofia e Noir

Madrelingua napoletano, vive a Caserta, dedicandosi alla famiglia, alla filosofia e, ovviamente, al noir. Gestisce il sito ufficiale di Maurice Bellet in italiano